L’organo di San Rocco è davvero l’Antegnati del 1585?

Leggo sul numero di aprile 2008 della Pieve, il bollettino mensile della parrocchia di Quinzano, una mezza paginetta (p. 23) priva di firma, data e spiegazioni, in cui si annuncia trionfalmente – mi par di capire – che qualcuno avrebbe finalmente dimostrato senza ombra di dubbio che l’organo di San Rocco a Quinzano è «da attribuire a Graziadio Antegnati che lo realizzò nel 1585 con l’aiuto del cannista Meiarini»; il tutto sotto il rimando a una bottega organaria e a uno specialista in misurazione di canne d’organo.

s rocco organo 01Ora, io non sono un esperto di organaria, e quindi non ho intenzione di pronunciarmi sul merito delle questioni della misura e fattura delle canne dello strumento esistente nella chiesa di San Rocco. Ma mi ero già occupato tempo fa del problema, e avevo illustrato i pochi punti fermi in proposito, limitandomi comunque alla stretta prospettiva documentaria, che è quella che mi appartiene. Vorrei riproporre qui alcuni di quegli argomenti, e rilanciare le domande che ne scaturiscono a chi, più competente di me negli aspetti tecnici specifici, potrà certo trovare qualche risposta in più.

Le coordinate del problema

Schematizzando al massimo, il problema si pone secondo almeno tre coordinate:

  1. l’organo fabbricato dalla bottega Antegnati per il Convento nel 1585;
  2. l’organo acquistato per San Rocco nel 1651;
  3. l’organo che esiste oggi in San Rocco.

Le affrontiamo sinteticamente una per una.

Anzitutto esistono due informazioni dirette sull’organo del Convento:

  • è certo che la bottega bresciana di Graziadio e Costanzo Antegnati realizzò un organo per la chiesa francescana di Santa Maria delle Grazie al Convento di Quinzano, come appare dall’elenco degli organi che Costanzo appose al suo opuscolo L’arte organica (Brescia 1608);
  • una memoria nel registro della scuola della Concezione, titolare dell’omonimo altare nella chiesa del Convento, mostra che tale organo fu acquistato nel 1585, per incarico del padre guardiano fra Claudio Mottella e di due dirigenti della compagnia, nell’ambito di un’ampia ristrutturazione della cappella, e che le 1.537 lire planet che esso costò furono suddivise pressoché equamente tra i confratelli, il Comune di Quinzano e i frati francescani.

Di questo organo non si hanno più altre notizie per tutta la vicenda storica della chiesa delle Grazie, né tanto meno dopo la sua soppressione e distruzione intorno al 1810.

In secondo luogo ci sono le informazioni indirette, a dire il vero ancor più scarne, sull’organo della chiesa di San Rocco:

  • il 30 ottobre 1650 e il 19 febbraio 1651 due delibere dei reggenti di San Rocco ci informano che era in progetto l’acquisto in città (a Brescia?) di un organo per la chiesa, che quindi non ne era ancora dotata;
  • a inaugurare il nuovo organo «di vaga veduta», secondo la testimonianza del figlio Giovanni, fu il segretario comunale e buon organista dilettante Francesco Gandino, che ne aveva perorato la realizzazione, e che aveva inaugurato anche lo strumento realizzato nel 1650 dall'organaro milanese Ercole Valvassori per la chiesa parrocchiale di San Faustino.

Sapendo che il notaio Francesco Gandino morì il 5 febbraio 1652, bisognerà collocare la posa in opera dell’organo di San Rocco nella seconda metà del 1651.

In terzo luogo abbiamo a disposizione quell’oggetto che, tutto sommato, a buon senso dovrebbe risolverci ogni problema, ossia lo strumento che ancor oggi esiste nella chiesa di San Rocco. A questo proposito occorrerebbe però distinguere, come anche il lettore meno provveduto può immaginare, tra la parte decorativa esterna dell’opera: la cassa (o ancona) e la cantoria (balconata) dall’apparato fonico che si trova all’interno e che fa dell’organo quello strumento musicale che è. Naturalmente noi qui per il momento possiamo solo limitarci a parlare di ciò che si vede dal di fuori, e cioè, in particolare:

  • le dimensioni sproporzionate della cassa rispetto al luogo dove è posta sembrerebbero suggerire che lo strumento non sia nato per quella collocazione, ma vi sia stato trasferito da un altro luogo più spazioso;
  • la struttura architettonica, lo stile, le decorazioni, il confronto con opere simili, tutto indurrebbe a collocare la parte esteriore dell’opera intorno ai decenni 1620-40, poco più poco meno, il che contrasta in maniera evidente con la datazione assai più antica (1585) dello strumento del Convento;
  • una memoria, invero alquanto labile, ci informa che nel 1764 l’organo di San Rocco fu «comparatum» (comprato? riparato? adattato?) a spese di don Ercole Desiderati, e restaurato e ampliato ai bassi da Gaudenzio Boldiga per conto del parroco dell’epoca don Apollonio Busi (1738-1772).

La leggenda vulgata

Per il resto, quel che circola da tempo immemorabile è la leggenda assai radicata secondo la quale lo strumento antegnatiano del 1585 fu trasferito in San Rocco dal Convento dopo la soppressione del 1810: e quindi l’organo attualmente in San Rocco non sarebbe altro che lo strumento fabbricato da Graziadio Antegnati per il Convento. Ma a questa teoria si oppone – come s’è visto – prima di ogni altra considerazione, il fatto che l’organo odierno, nella sua parte decorativa esterna, non può essere un’opera del 1585, ma di almeno 40-50 anni dopo. L’attribuzione agli anni 1620-40 si conforma un po’ meglio alla notizia sull’inaugurazione effettuata nel 1651, se pure non vi coincide alla perfezione: in questo senso, potrebbe giustificare l’idea di un acquisto – diciamo – di seconda mano.

È pur vero che, in linea teorica, si potrebbero avanzare varie ipotesi alternative:

  • l’organo del Convento poteva aver ricevuto una cassa preziosa solo alcuni decenni dopo la realizzazione della sua parte fonica;
  • nel 1651 i reggenti di San Rocco potevano avere acquistato proprio dai frati del Convento lo strumento e l’ancona non contemporanea;
  • oppure poteva essere accaduto che nel 1764 il prete Desiderati, disfattosi per qualche ignoto motivo dell’organo del 1651, gli sostituisse quello del Convento con la relativa cassa, dopo adeguato restauro e adattamento;
  • o ancora, la sostituzione dell’organo del 1651 potrebbe essere avvenuta dopo la soppressione della chiesa del Convento nel 1810 (in tal caso, il restauro del 1764 sarebbe stato operato quando lo strumento si trovava ancora in quella primitiva sede).

Tutte ipotesi suggestive e per certi versi anche plausibili, ma – come si vede bene – non supportate da nessuna prova diretta di alcun genere e, se mai, poste in qualche dubbio dal silenzio assoluto delle fonti in proposito. Insomma: un processo del tutto indiziario!

Quanto all'apparato interno dello strumento, quello fonico, è l’unica via che potrebbe chiarire in maniera definitiva il dilemma sull’epoca e sulla attribuzione, nel caso che si operasse una campagna sistematica di rilevazioni e misurazioni scientifiche. Effettivamente, in ogni epoca i costruttori di organi avevano i loro trucchi e i loro segreti, che consistevano in particolare nei materiali impiegati, nella loro preparazione e disposizione, nella fattura e nelle misure delle canne, nella cura di alcuni particolari, talora nell’inserzione di segni distintivi, al punto che la conoscenza minuziosa di tutti questi dettagli può indirizzare con relativa sicurezza gli esperti a identificare una bottega piuttosto che un’altra.

Ma – per quanto ne so – non esistono a tutt’oggi che sparse informazioni di sporadici studiosi che negli scorsi decenni hanno saggiato qua e là singoli elementi dello strumento. Nell’archivio parrocchiale quinzanese, ad esempio, si conservano alcune lettere del prof. Ernesto Meli, noto organologo e musicologo bresciano, che il 10 novembre 1957 visitò brevemente lo strumento, e ripulendo con dell’acquaragia alcune canne dalla «inverniciatura color alluminio» applicata in un restauro del 1938, trovò conferma che «la facciata dell’organo di S. Rocco appartiene allo strumento originario». Anche se in seguito tempestò invano per mesi il prevosto dell’epoca, richiedendogli di cercare in archivio la prova inequivocabile del trasporto dell’organo dal Convento alla chiesa di San Rocco, un atto senza il quale si sarebbe trovato non del tutto a suo agio a riconoscerne ufficialmente la paternità di realizzazione: ma quell’atto imprescindibile non venne fuori.

A questo genere di indagini mi sembra di capire che si possa ricondurre la recente comunicazione del bollettino parrocchiale, da cui siamo partiti.

Antegnati o Meiarini (o Valvassori)?

In realtà, la prima parte di quella nota sembra faccia riferimento a una lettera (in quale data?) di una bottega organaria, che comunica (a chi?) di aver ricevuto «uno studio effettuato dallo specialista Maurizio Isabella e pubblicato nel volume “Misure e segnature delle canne nella bottega degli Antegnati” basato sui rilievi effettuati dallo stesso sull’organo di S. Rocco alcuni anni fa»: il riferimento è a un opuscolo pubblicato dall’organologo Isabella nel 1995, quindi non proprio recentissimo. In esso, secondo lo scrivente della missiva, lo studioso «è in grado di affermare, dopo lunghi studi sulle misure delle canne e paragonando le stesse con altre dello stesso autore, che l’impianto fonico dell’organo di S. Rocco è da attribuirsi alla famiglia Antegnati», con l’aggiunta di alcuni particolari tecnici, confrontati con quelli di altri organi usciti dalla stessa bottega.

A parte il fatto che non è del tutto chiaro che cosa si intenda con «lo stesso autore», visto che la bottega Antegnati operò in Brescia (e non solo) per almeno sette generazioni, tra il 1480 e il 1690, con circa una ventina di personaggi attestati: forse si allude a Graziadio (1525-1590c.), o piuttosto alla bottega di Graziadio e suo figlio Costanzo (1549-1624), da cui proveniva l’organo del Convento del 1585.

Poi la nota della Pieve riporta, in qualche maniera, una citazione dallo studio di Maurizio Isabella (1995), in cui si sostiene, tra l’altro, che «nella bottega Antegnati, sul finire del Cinquecento, erano presenti due cannisti, uno dei quali era Tomaso Meiarini che crebbe artisticamente con Graziadio e Costanzo in qualità di cannista per poi uscire dalla loro ombra e proseguire, da solo, nella nobile arte»; e si conclude che «il materiale fonico di Quinzano d’Oglio sarebbe quindi da attribuire a Graziadio Antegnati che lo realizzò nel 1585 con l’aiuto del cannista Meiarini».

Ancora una volta, senza addentrarmi nei particolari tecnici che non mi competono, mi limito a considerazioni di carattere documentario.

Il nome di Tommaso (Tomio o Thomeo) del fu Stefano Meiarini, di illustre famiglia veronese, organista e organaro dal carattere difficile e dalla vita avventurosa, è attestato nelle fonti a partire dall’inizio del secolo XVII (titolare di bottega in Brescia nel 1606 in contrada della Pallata) fino al 1630, allorché morì nella famosa terribile pestilenza. Per alcuni anni (1608-1616), con alterne vicende, fu organista in seconda del duomo di Brescia a fianco del vecchio Costanzo Antegnati, nella cui bottega probabilmente aveva collaborato anche come costruttore di organi: un impegno che preferiva decisamente a quello di suonare nelle funzioni religiose. La storiografia specializzata gli assegna un posto di rilievo nell'organaria bresciana dei primi decenni del ‘600, allorché sembra assumesse un primato rispetto alla bottega antegnatiana, che in quegli anni cominciava il suo inesorabile declino.

In questo senso, mi sembra un po’ difficile mettere insieme la data certa 1585 dell’organo del Convento con l’attività di cannista, sia pure in collaborazione con gli Antegnati, da parte del Meiarini (il quale, se all’epoca era già nato, certo doveva essere un po’ piccoletto per fabbricare organi, o anche solo canne d’organo).

Più verosimile sembra invece la correlazione tra l’epoca presunta di realizzazione della cassa in San Rocco (1620-40), e il periodo della maggiore produzione dell’organaro Meiarini: agli ultimi anni della sua vita, per esempio, si deve il preziosissimo organo ancor oggi esistente ed efficiente nella chiesa del Carmine a Brescia, montato nel 1633, dopo la morte del costruttore, dal suo collaboratore Graziadio (III) Antegnati. Certo non si può dire che queste cronologie coincidano all’unghia con il fatto che la reggenza di San Rocco acquistò il bell’organo per la propria chiesa solo nel 1651: ma in questo particolare mi permetto di insistere sull’ipotesi che l’organo attuale potrebbe essere stato acquisito, dopo una ventina d’anni di esercizio, da un’altra chiesa, piuttosto che realizzato appositamente.

Senza contare infine che proprio a Quinzano e proprio tra il giugno e il novembre del 1650 il Comune di Quinzano aveva fatto realizzare un organo nuovo per la chiesa parrocchiale di San Faustino dalla bottega dell'organaro Ercole Valvassori, di origine milanese ma in quell'epoca operante in Brescia (cfr. Casanova 1996). Se posso sbilanciarmi, senza metter lingua sulle questioni tecniche che non sono il mio campo, sarei propenso a immaginare appunto un intervento della bottega del Valvassori, come invita a pensare la coincidenza delle date e la stessa spiccata competitività della vicinìa di San Rocco con il Comune di Quinzano, che tendevano a realizzare opere simili a brevissima distanza di tempo, come testimoniano diversi episodi, a partire dalla edificazione dei rispettivi campanili, anch'essi realizzati mezzo secolo prima dal medesimo architetto Nicolò Albrighino da Lavena.

Un restauro intelligente

Con ciò, me ne guardo bene dall’affermare che l’organo di San Rocco sia per certo un’opera del Valvassori: in realtà, mi basterebbe aver chiarito le ragioni per cui è largamente improbabile, se non impossibile del tutto, che sia proprio quello l’organo del Convento trasportato lì nel 1810. Più di tanto, al momento e con i pochi dati in nostro possesso, non si può dire.

In compenso abbiamo la fortuna di avere ancora  a disposizione lo strumento ‘in persona’, con stratificata dentro le sue viscere tutta la sua storia e la sua evoluzione: chi meglio di lui potrebbe dirci per filo e per segno tutto ciò che può essere detto sulla sua vicenda, dalla costruzione al momento presente?

Per questo è buona cosa che si decida finalmente di metter mano a una indagine. A condizione, però, che si proceda non in fretta e a qualche modo – come è capitato un po’ troppo spesso qui da noi negli ultimi decenni – ma secondo le regole della legalità e della scientificità.

Un organo storico, come un edificio o una grande opera d’arte, è un organismo complesso nel quale ogni epoca ha depositato i segni della sua tecnologia, della sua sensibilità e del suo gusto: per questo un restauro non può ridursi a una semplice pulizia o, peggio ancora, al pretenzioso ripristino indiscriminato di una ipotetica condizione originaria che, se mai è esistita, non è possibile in alcun modo verificare. Occorre soprattutto lasciare che lavorino veri esperti, i quali da un lato sappiano raccogliere tutte le informazioni possibili dallo strumento così com’è, e dall’altro forniscano un progetto di recupero rispettoso, che non manometta arbitrariamente nessuna delle fasi che lo strumento nella sua storia ha attraversato.

Occorre lasciarsi guidare dalla natura dell’oggetto senza imporgli la nostra visione unilaterale, e rendere ragione storica e scientifica di ognuna delle scelte necessarie e condivisibili che si faranno. È un’occasione rara quella che abbiamo: sarebbe un vero peccato di arroganza lasciarcela sfuggire.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. 12 n. 162, maggio 2008, pp. 4-5, con aggiornamenti)

Riferimenti bibliografici