Il primo documento in cui compare il nome di "Quinzano" è in una donazione dell'anno 760 al monastero cittadino di San Salvatore, poi Santa Giulia, ma non dimostra proprietà terriere delle monache in zona, bensì la semplice provenienza del loro capo bovaro in Roncadelle.
Nel monastero benedettino di San Faustino di Brescia nel 1610 esplorava il cielo con il suo "cannone" e discuteva con altri scienziati bresciani le più recenti scoperte astronomiche un monaco quarantenne grande appassionato di matematica.
Nel cimitero di Quinzano, all'estremità del seicentesco portico anteriore, sorge una vistosa cappella mortuaria in stile magniloquente, che conserva le spoglie di un uomo dal carattere avventuroso e discreto: il cavalier Attilio Bissini, tenente colonnello del Regio Esercito Italiano.
Assunto con regolare contratto da Comune, parrocchia e confraternite di Quinzano per una condotta di tre anni dal 1620 al 1623 col salario di 50 scudi, il quarantunenne organista Gian Domenico Spinoni era già avviato nella carriera musicale dalla sua città natale di Sarzana.
Le trovate esilaranti del prete don Giacomo Amighetto, un sacerdote quinzanese del ‘600 con la passione per le burle, sono un modo insolito per entrare nella mentalità e nelle esperienze sociali di un tempo che ormai appare lontanissimo da noi.
Da una pagina del Gandino l’attribuzione di alcune opere a un aristocratico pittore dilettante del ‘500, nativo di Cigole e quinzanese d'adozione; la sua firma enigmatica anche sulla pala della Concezione, già al Convento e ora alla Pieve.
L’organista Orazio Pollarolo (1634?-1684) da Codogno fu organista municipale in Quinzano negli anni 1661-1665. Prima d'allora era stato 14enne a Desenzano; poi fu a Brescia in S. Nazaro (1666) e in cattedrale (1669), e passò i suoi ultimi due anni di vita in Polonia.
Il notaio Scipione Gandino (1559-1638) è senza dubbio la fonte più importante delle nostre informazioni sulla vita economica e artistica di Quinzano tra '500 e '600. La sua vita la conosciamo dagli scritti dal nipote, figlio del figlio Francesco, il medico Giovanni.
Parlando di personaggi, si pensa a figure che hanno dato lustro alla loro patria; mai alle piccole e umili figure che pure hanno in ogni epoca rappresentato la maggioranza della popolazione. Qui riportiamo la testimonianza umana di una di queste.
Alto e robusto, lineamenti marcati, occhi spiritati, naso aquilino, baffi a manubrio, barba fluente, capelli brizzolati e ricciuti con un cappello rotondo: ci sono ancora dei quinzanesi che ricordano la figura strana e un po' paurosa del vecchio pittore.
Don Giovanni Bina (1884-1970) è un sacerdote caro al cuore di molti quinzanesi, quelli più avanti nell'età, che l'hanno conosciuto e hanno potuto apprezzare le sue virtù di mente e di cuore effuse per quarant'anni tra la popolazione del nostro paese.
Ottavio Bergamaschi fu per quasi 70 anni anni un abile costruttore di mobili d'arte, ebanista, intagliatore e scultore in legno, molto ricercato dalle famiglie e dalle chiese del territorio. La nipote ne ricorda con delicato affetto aspetti della sua professionalità e umanità.