Domenico Spinoni organista municipale

Negli ultimi mesi abbiamo sviscerato in lungo e in largo tutto quanto c’era da sviscerare sulle torri più imponenti di Quinzano: quelle di San Faustino e di San Rocco, opere pressoché coeve (furono edificate fra il 1600 e il 1606) e, così come ci si presentano oggi, dovremmo dire sorelle, appartenendo entrambe alla paternità del medesimo progettista, l’architetto comasco Nicolò Alberghino.

Ora possiamo dunque dedicarci ad argomenti un po’ meno... campanilistici.

Il consiglio ecclesiastico

Stavolta, tanto per voltar pagina e ripescare tra le nostre vecchie passioni, proporremo a chi ci segue di leggere insieme il contratto di assunzione di un organista municipale, tentando di spremerne tutte le informazioni che può offrirci.

Il documento è rogato da un nostro amico di lungo corso, il notaio Scipione Gandino (e chi se no?), nella chiesa parrocchiale di San Faustino, e porta la data del 23 aprile 1620. L’intestazione, come di consueto, elenca i protagonisti dell’atto, i datori di lavoro si direbbe oggi, che in questo caso sono piuttosto numerosi in quanto rappresentano gli organismi principali nella vita pubblica locale dell’epoca: la parrocchia e il Comune.

In effetti, il primo della lista è «l’Illustre Monsignor Pompeo Zamboni meritissimo Arciprete della Pieve de Quinzano», accompagnato dai preti don Giovanni Pero (così nel manoscritto, ma forse andava letto Però, ossia Perone, Peroni), don Domenico Boves (ancora un cognome verosimilmente dialettale, ma è meglio non fidarsi a interpretarlo) e don Giovanni Battista Manente.

L’ultimo è una vecchia conoscenza: si tratta di quel prete, dotto di letteratura filosofia e poesia, ma «ingegnoso anco in altre virtù, e particolarmente nel riccamare e lavorare à figure in telaro a vocchia, in che pure era maraviglioso», cui si accennava una volta discorrendo di suo fratello Giacomo, ottimo intagliatore e costruttore di ancone in legno e altri arredi ecclesiastici (L’Araldo n. 45, 09.1997). Il prete don Manente (che morirà nell’agosto 1623), era all’epoca deputato dell’altare di San Nicola nella parrocchiale, nonché della annessa compagnia della Dottrina Cristiana (L’Araldo n. 47-48, 11-12.1997).

Nulla sappiamo invece degli altri due sacerdoti; in compenso quattro righe di referenze sull’arciprete Zamboni ce le fornisce il sempre diligente cronista Giovanni Gandino, che gli dedica il seguente epitaffio (Alveario, p. 353): «1617 Pompeo Zambone da Montichiaro Arciprete di Quinzano per rinonzia fattagli dal Arciprete Manzino con la pensione di ‹lire 415 a benefizio del Nipote Don Francesco Manzino. Qual Arciprete morse l’anno 1624 doppo haver goduto il Beneficio anni 6 e mesi 3». Sei anni o poco più di parrocchiato, illustrati da un’unica memorabile impresa: il versamento di congrua pensione al nipote dell’arciprete precedente!

Il consiglio comunale

Non meno interessanti, nel contratto che stiamo analizzando, sono le presenze successive: in primo luogo il vicario di quadra, il «molto magnifico signor Francesco Soncino». I vicari – come abbiamo altrove già spiegato – erano i funzionari di governo incaricati periodicamente di amministrare i distretti territoriali della provincia bresciana (le quadre appunto). Quinzano, come capo di quadra, era sede di un vicario, il quale fungeva tra l’altro da garante di tutti gli atti del municipio, specialmente i più rilevanti. Che costui dovesse occuparsi di persona pure di una banale assunzione d’organista potrebbe apparire strano: forse il funzionario era presente alla stipula perché aveva avuto un ruolo diretto nell’accordo tra le parti.

Dopo di lui, figurano nell’elenco i sindici del comune. L’appellativo don (dal latino dominus, signore), che è loro attribuito nel manoscritto, era all’epoca destinato a designare in genere gli appartenenti alla media classe aristocratica, benché laici, mentre per indicare un membro del clero il don era doverosamente preceduto dall’onorifico reverendo, come infatti accade per i sacerdoti elencati poco prima. Quanto alla funzione dei sindici, attenzione a non equivocare, poiché in quei tempi essi dovevano rivestire nella vita amministrativa un ruolo più che altro di rappresentanti legali del municipio.

Più vicino alla figura del nostro moderno sindaco ­– con tutti i dovuti distinguo – era invece il console, nel nostro caso il maestro Giovan Pietro Visaro. I consoli del comune erano sempre più d’uno; venivano eletti ogni anno ed esercitavano a turno in coppia la carica di primi cittadini, per periodi di tempo che variavano in base al numero complessivo dei designati; nei mesi in cui non esercitavano la carica superiore, svolgevano funzioni all’incirca dei nostri assessori comunali.

Per il nostro paese non esiste ancora, purtroppo, uno studio dettagliato sull’orga­nizzazione municipale nel corso della storia: al momento possiamo solo rivolgerci, per avere lumi in proposito, al cosiddetto Catastico Bresciano compilato nel 1610 dal podestà veneto Giovanni da Lezze. Costui rilevava evidentemente la condizione vigente al suo tempo, ma non saremo lontani dal vero se riconosceremo in essa l’esito di una lunga e costante tradizione.

Il Da Lezze dunque annotava che Quinzano «È governato da 24 Conseglieri con Lire 4 all’anno per uno di salario. Dui al mese sono fatti dalla vicinia à bossoli et balle. Detti Conseglieri eleggono altri 24 appresso di loro per gionta, che in numero di 48 fanno à bossoli et balotte tre Sindici con Salario de Lire 3 all’anno». Non si parla espressamente di consoli, ma è probabile che assumessero questo titolo i 24 consiglieri eletti dalla vicinìa (o Consiglio generale, ossia l’assemblea di tutti gli elettori del paese, i maschi maggiorenni capi famiglia con qualche possedimento), quando «dui al mese» assumevano il pieno delle funzioni di rappresentanza. I 24 consiglieri eletti, più gli altri 24 «per gionta» ("in agiunta", la giunta insomma), nominati dai primi per cooptazione, costituivano il cosiddetto Consiglio speciale, che tra le altre competenze – come osserva il Da Lezze – aveva anche quella di nominare i tre sindici.

Perché alla assunzione del nuovo organista sia presente un solo console non è dato sapere (e del resto, non è neanche questione di grande momento).

I rappresentanti della comunità

Altri personaggi che seguono nella rappresentanza comunale sono dieci consiglieri, nonché il cancelliere (segretario comunale) Orazio Pizzamiglio. Anche qui i titoli sono tutt’altro che un mero accidente decorativo: indicano invece la precisa collocazione di ciascun individuo all’interno di un ambiente sociale, che è ancora in parte quello rigido e tendenzialmente immutabile ereditato dal medioevo. Del don – come detto sopra – si fregiano i piccoli e altezzosi notabili di campagna; messer è attributo della borghesia facoltosa, non ancora accolta in seno ai ceti aristocratici; il ser spetta, di solito, ai dottori di legge, notai, avvocati e giurisperiti; maestro è qualifica meno altisonante ma non certo più spregevole, poiché individua, all’interno delle attività artigianali, il massimo livello di professionalità, attestato con dure selezioni dalle rispettive associazioni di categoria; buoni ultimi, vengono infine i disgraziati senza titolo, con null’altro da vantare che se stessi e la propria quotidiana fatica di vivere.

Gli ultimi signori elencati dal notaio sono individuati genericamente come persone «che ànno voce in detto Comune».

Che cosa ci faceva tanta solenne accolta di illustri e meno illustri nella chiesa parrocchiale di Quinzano il 23 aprile 1620 s’è già detto all’inizio: devono stipulare un contratto di assunzione con l’organista Domenico Spinoni da Brescia, per una condotta (locatione) di tre anni, «quali comintiarano adi 18 soprascritto del anno soprascritto et finirano ancora adi 18 aprile 1623 piacendo al Signor Iddio». Il musico, dunque, aveva già preso servizio da una settimana, così i notabili locali si erano potuti fare un’idea della sua professionalità, prima di sottoscrivere l’accordo: neanche allora si comprava nulla a scatola chiusa.

In realtà, i registri dell’archivio storico comunale conservavano, alla data 26 marzo 1618 (b. 48, c. 167v), un analogo atto di assunzione dell’organista Ottavio Tachetti, al quale nel medesimo libro (c. 204v) era intestata ancora una partita di dare-avere sotto l’anno 1621 (forse un errore per 1620?). Sembrerebbe dunque di desumere che nei primi mesi del 1620 fosse stato attivo a Quinzano, oltre allo Spinoni, un altro pubblico organista; ma è più probabile che, per ragioni non meglio note, egli sia venuto meno in qualche modo alla sua funzione, tanto che il Comune e la parrocchia si trovarono costretti a ricorrere ai servigi di un nuovo musico. Del resto, lo stesso registro contabile riporta più avanti (c. 270v) la partita intestata all’organista Spinoni per il 1623: ciò conferma che la sua condotta triennale fu adempiuta per intero.

L’organista municipale

Perché a proposito dell’organista fossero coinvolti insieme la parrocchia e il Comune, chi non ci segue solo da oggi l’avrà intuito, visto che più d’una volta in passato ci è capitato di affrontare la questione. Tuttavia le clausole del contratto relative al compenso rendono esplicite le ragioni anche a chi sia affatto digiuno di tali sottili problemi.

In effetti, dopo la definizione dei termini cronologici della condotta, il contratto si preoccupa di definire l’ammontare e le condizioni dei pagamenti: l’organista riceverà 50 scudi di 4 lire e 2 soldi all’anno (in tutto 205 lire: ci volevano 20 soldi per una lira), in rate trimestrali, ripartite nel modo seguente: 5 scudi dalla scuola del Santissimo Sacramento; 4 dall’arciprete; 3 dalla chiesa di San Rocco; 2 dalla scuola di San Pietro Martire; 1 dal signor Giovanni Peschiera; i restanti 35 scudi erano a carico del Comune, cui competeva altresì fornire un appartamento all’organista per tutto il tempo che avrebbe soggiornato in paese.

Ora, l’organo serve essenzialmente per accompagnare le funzioni religiose, e le funzioni sono roba essenzialmente da preti: dunque – secondo il nostro modo di vedere moderno – a chi se non ai preti dovrebbe toccare di mantenere l’organo e di pagare chi lo suona? In realtà, questa è visione piuttosto recente e in fondo anacronistica, mentre in antico si aveva un concetto abbastanza diverso della religione e dei suoi rapporti economici e organizzativi. In antico il centro attorno a cui gravitava la vita religiosa, per lo meno nel mondo rurale, era la comunità: alla comunità appartenevano di fatto e di diritto tutti i principali luoghi di culto del territorio (se non erano di proprietà privata), e la comunità stessa, nel suo livello rappresentativo più elevato: il Comune, si assumeva l’onere di un adeguato servizio religioso a vantaggio di tutti i suoi componenti.

Il clero in questa prospettiva, fatte salve le prerogative feudali dei titolari di benefici ecclesiastici (nient’altro che pure baronie, religiose soltanto per le loro remote origini), assumeva un ruolo per lo più subordinato, benché nella maggior parte i chierici appartenessero ai ceti già di per sé privilegiati per censo, posizione sociale e cultura, e in questo senso, cioè in quanto ricchi nobili e colti e non in quanto chierici, aspirassero a esercitare funzioni di direzione e di comando anche nel culto.

In altre parole – come abbiamo rilevato più volte in passato – gli edifici di culto erano di proprietà delle genti che vi abitavano attorno, i cosiddetti vicini, ed erano amministrate da pubbliche assemblee aperte a tutti (le vicinìe appunto), cioè da consigli composti dai notabili del quartiere, che coi loro denari e le loro competenze potevano provvedere alle necessità economiche e amministrative delle chiese stesse. Quanto all’esercizio del culto, anche qui vi provvedeva il pubblico, o direttamente o tramite associazioni laicali (le cosiddette scuole e le altre simili congregazioni variamente denominate), cui i chierici stessi talora potevano aderire in ruoli chiave, ma sempre come persone private, tali e quali gli altri associati. Erano poi queste istituzioni, così come i Comuni, che si facevano carico di officiare stabilmente piccole e grandi chiese, cappelle campestri o semplici altari, assoldando sacerdoti per le messe e gli altri riti pubblici, secondo i bisogni dell’associazione o dell’intera comunità, e naturalmente secondo le risorse finanziarie di volta in volta disponibili.

Ecco dunque perché, quando si fanno ricerche relative agli organi e alla musica nelle nostre chiese, come pure per tutte le opere d’arte in esse esistenti, anteriormente al secolo XIX, è quasi sempre inutile consultare gli atti amministrativi delle parrocchie, dove non si documentava altro che la preoccupazione di conservare integri e redditizi i beni immobiliari della prebenda. Le vere informazioni preziose sul patrimonio della nostra arte locale si scoprono, invece, per un verso tra le carte municipali, e per l’altro nei minuziosi libri contabili delle confraternite, o talvolta anche negli atti notarili di privati cittadini.

La ripartizione delle spese per il nostro bravo organista mostra con chiarezza questa complessità e articolazione di rapporti nell’ambito del culto: l’arciprete, al quale d’ufficio non competevano molti obblighi se non la messa parrocchiale della domenica e poco altro, non è neppure colui che versa di più dopo il Comune; le congregazioni annesse agli altari laterali della chiesa parrocchiale, ossia il Santissimo Sacramento e San Pietro Martire, rivestono un ruolo rilevante.

Al salario del musico contribuiscono poi un privato, il nobile signor Peschera, probabilmente patrono di una cappellania familiare, e la chiesa di San Rocco. Quest’ultimo dato è di particolare interesse, poiché si sa che almeno fino al 1651 in quel tempio non esisteva un organo stabile [L’Araldo n. 31, 05.1996]; ma sappiamo anche che nelle feste solenni veniva utilizzato, in quella come nelle altre chiese del paese, un regale (a Quinzano chiamato cigale), ossia un piccolo organo portativo, suonato dallo stesso organista municipale: è dunque per questo che anche ai reggenti di San Rocco viene richiesto il loro modico contributo al salario dello Spinoni.

Da questi dettagli si comprendono indirettamente gli obblighi di servizio del nostro organista: doveva accompagnare le funzioni delle due principali scuole della chiesa parrocchiale, nonché le celebrazioni dell’arciprete e le messe di un patrono privato, e doveva servire con l’organo portativo anche presso la chiesa di San Rocco. Oltre, evidentemente, a tutti i riti di competenza comunale.

Un contratto del 1795

A questo proposito, possediamo un capitolato minuzioso, che appartiene a un’altra epoca, ma che può essere ugualmente indicativo delle incombenze liturgiche imposte all’organista civico in Quinzano fino a tutto il secolo XVIII. Presso l’archivio comunale, è conservata una sorta di bozza del contratto steso per l’organista Marco Antonio Castelvedere il primo gennaio 1795, sotto il titolo «Capitoli da farsi all’Organista, quando cosí aggradiscano alla Spettabile Comunità»: una proposta da sottoporre al giudizio della giunta municipale. In sei punti vi sono elencati gli obblighi di servizio compresi nel salario annuo del musico:

primo averà obbligo detto Marco Antonio Castelvedere di sonar l’Organo tutte le Feste di Precetto tanto la mattina alla Messa Parochiale sonando per introduzione a detta messa, quanto alli Vespri, e tutte le Domeniche nelle qualj viene esposto l’Augustissimo Sacramento.
2.° Averà pure obligo di sonar l’Organo in ogni occasione di publica ordinaria e straordinaria preghiera, cioè uffizi dettj di settimana, Messe, e simili etc., che si fanno gratis.

Gratis, s’intende, perché per tali servigi il compenso del musico era già compreso nella paga annuale, ed egli non doveva dunque ricevere mance o contributi a parte. Poi ancora:

3.° Sarà obbligato sonar l’Organo all’ingresso che fara il Nobile Signor Vicario Loco Tenente della Comunità.

E del vicario governativo abbiamo già detto che era nominato ogni anno.

4.° Sarà obbligato a sonar l’Organo nella festa detta delle Sante Relique, qual patto si spiega qui particolarmente per levar l’uso introdotto di pagar l’Organista.

Alla festa municipale delle "Sante Reliquie dei santi Nazaro e Desiderio", grande solennità paesana celebrata – sembra – la seconda domenica di ottobre nei secoli XVII-XVIII, abbiamo già accennato altre volte in questi nostri contributi. Il capitolato del 1795 prevede una clausola esplicita per ovviare all’abuso invalso nel frattempo di versare all’organista una somma aggiuntiva che contrattualmente non gli spettava.

Il punto seguente esplicita un dato che avevamo già individuato nel contratto dello Spinoni:

5.° Sarà poi obbligato a sonar detto Organo in tutte le sacre funzioni che costuma fare la Veneranda Scuola del Santissimo Sacramento, e ciò relativamente agli obblighi che ha verso la medesima.

L’ultima clausola circa il servizio musicale riguarda le mance che il clero locale dovrà erogare per ogni ricorrenza non contemplata nel capitolato stesso:

6.° In tutte le funzioni poi nelle qualj si paga la residenza al Venerando Clero conseguirà detto Organista, sonando l’Organo, quella mercede che oggidi si costuma.

La residenza è un termine tecnico, che più o meno indica l’obbligo di un chierico di prender parte a una funzione ecclesiastica (messa, vespro, processione o altro) e il relativo gettone di presenza: qui si contemplano le funzioni solenni, dove si richiedeva espressamente il suono della musica.

L’articolo seguente del contratto del Castelvedere regola la manutenzione ordinaria dello strumento, con espresso riferimento ai mantici, alla diligente copertura del delicato apparecchio dopo ogni uso, e all’accordatura di tutte le canne, in particolar modo quelle di lingua, ossia i registri ad ancia, che sono i più ardui da intonare e mantenere accordati:

7.° averà debito di tener cura dell’Organo e dei mantici, e cosí pure di tener accordate le canne tutte d’ogni registro di lingua, e come pure di coprire o far coprire l’Organo ogni giorno dopo sonato.

Anche allo Spinoni si richiedeva espressamente, benché in forma più sintetica, l’accordatura dello strumento come parte integrante del suo servizio di organista.

La bozza del 1795 si conclude con una clausola relativa al levamantici, che nel 1620 non era prevista dal contratto:

8.° Conseguirà l’onorario annuo di Lire trentacinque che suole oggi pagare la Comunità al Levamantici, perché abbia egli il carico di provederlo a suo piacere, approvato però che sia da questa Comunità per ogni buon fine.

Il Castelvedere avrebbe ricevuto annualmente 40 scudi (che comportavano un aumento di 10 scudi rispetto al contratto precedente):

Per la piena osservanza dei quali Capitoli, e perché abbia a servire questo pubblico con la possibile soddisfazione, e particolarmente per il peso addossatogli di tenere accordate le canne dei registri di lingua accorda la Comunità a detto Marco Antonio Castelvedere la crescita di Scudi dieci, sicché l’Onorario annuale sarà di scudi quaranta, che danno de’ correnti Lire 280 correnti, quale s’intenderà avere auto principio il di primo del corrente Mese.

Dalla cifra è esclusa, però, la quota spettante alla parrocchia e alle altre confraternite; e comunque il paragone con un salario di quasi due secoli prima è di fatto improponibile.

La carriera dello Spinoni

Un’ultima questione: chi era mai quel Domenico Spinoni, che fece tappa per tre anni con le sue – è lecito pensare – abili mani all’organo municipale di Quinzano?

Nel fondo musicale dell’Archivio Capitolare di Brescia (oggi conservato presso l'Archivio Storico Diocesano) sono conservate due raccolte di polifonia sacra a stampa, con le seguenti intestazioni (cfr. Sala):

  • Libro Secondo de Salmi à 5 del Viadana à Versetti, Di Novo con maggior brevità ridotti à Salmi intieri, da cantarsi con l’Organo, & senza, Con il Basso Principale, Per Gio. Domenico Spinoni. Novamente datti in luce, Dedicati all’Ill.mo et Rev.mo Mons.r Giovanni Mascardi Vescovo di Nebbia. Opera quarta, edita a Brescia da Giovanni Battista Bozzola nel 1632
  • Motetti ad una voce, Et a 4 cioè, Voce Sola, Doi Violini, & Basso. Quali si possono anco cantare senza Instromenti tralasciando le Sinfonie, se li piace, & tutto con il suo Basso per l’Organo. Di Gio. Domenico Spinoni. Dedicati alla Magnifica Città di Serezana [=Sarzana]. Opera VI, stampato pure a Brescia presso il medesimo Bozzola nell’anno successivo 1633.

Di queste due opere il Guerrini (1957) riporta le auliche dediche latine, senza che se ne possa mietere gran messe d’informazioni biografiche sul nostro bravo organista, salvo che pubblicò almeno sei opere per voci, organo e strumenti, entro il 1633, di cui ne sopravvivono almeno due. 

Qualche informazione in più troviamo nel recente saggio di Scopsi (2016), da cui si scopre che Gian Domenico Spinoni era nato a Sarzana nel 1579, dal padre Benedetto, bresciano (fose di Gabiano, oggi Borgo S. Giacomo, come suggerirebbe il cognome), a lungo organista ufficiale di quella cattedrale negli anni fra il 1571 e la morte nel 1604. Gian Domenico Spinoni, dopo ave acquistato l'organo vecchio con la sua cassa nel 1609 (Neri 1877), compare poi come sostituto dell'organista titolare tra il novembre 1612 e il dicembre 1614, allorquando era stato a sua volta rimpiazzato per concorso da un altro musico, Andrea Bianchi, mentre tra il dicembre 1618 e l'agosto 1619 figurava come maestro di cappella del duomo. Dopo quella data, col consenso dei superiori, aveva abbandonato Sarzana per recarsi a Brescia.

Possiamo solo immaginare che a Quinzano lo Spinoni abbia tentato di riprendere, poco dopo i quarant'anni, una carriera interrotta per non sappiamo quali ragioni in Liguria, e che lo portò in sèguito, se non altro, a pubblicare in poco più d’un decennio almeno sei opere: niente male per un musico di provincia del primo ‘600.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. VI n° 54, giugno 1998, pp. 8-9, con aggiornamenti)

Riferimenti documentari e bibliografici