Un monaco quinzanese amico di Galileo

«Renda i saluti duplicati al Padre Don Serafino»: con queste cortesi parole si chiudeva una lettera di Galileo Galilei (lett. 447), inviata da Firenze il 30 dicembre 1610, al suo allievo preferito il benedettino cassinese don Benedetto Castelli.

Il Castelli (1578-1643) era un giovane monaco bresciano che aveva studiato con Galileo a Padova negli anni 1603-1604, ed era subito diventato uno dei più assidui seguaci del grande scienziato. Di ritorno nel 1607 a Brescia, dal monastero di San Faustino, dove aveva emesso la sua professione religiosa nel 1595, aveva cercato di divulgare le idee copernicane e il gusto delle osservazioni celesti anzitutto fra i suoi stessi confratelli, nonché fra alcuni intellettuali della città appassionati di astronomia. Di queste sue frequentazioni parla più d'una volta nelle missive che indirizza al suo maestro negli anni seguenti.

Ma il personaggio che ci interessa qui è il monaco suo confratello don Serafino Baselli da Quinzano, il cui nome ricorre almeno quattro volte nelle lettere di Castelli a Galileo e un paio nelle risposte del grande scienziato.

Di fra Serafino sappiamo anzitutto (Guerrini 1931, p. 108) che aveva emesso la sua professione religiosa nel monastero benedettino di San Faustino di Brescia il 29 marzo 1592, alla presenza dell'allora abate don Ambrogio da Brescia; il che permette di ipotizzare la sua nascita all'incirca una ventina di anni prima, ossia grosso modo intorno al 1570. Fra gli scrittori di cose quinzanesi, nessuna informazione importante ne offre il Pizzoni (1640, p. 36, che lo chiama «Serafico», come pure il Gandino, che ripete alla lettera), e poco ne dice il Nember (p. 2), che riportiamo per intero:

Serafino Baselli fiorì circa il 1600. Entrò nella Religione de’ Monaci Benedettini a 12 di Marzo del 1572 [= 1592] nel Monastero de’ Santi Faustino e Giovita di Brescia. Lo Storico di Quinzano pretende ch’egli sostenesse diverse cariche in quella illustre congregazione. Il suo genio principale fu per le Matematiche, nelle quali fu versatissimo. Lasciò alcune Disertazioni in queste materie, ma tutte Manoscritte. Morì intorno al 1630.

La data della professione 1572 è decisamente sbagliata: secondo Guerrini potrebbe riferirsi alla sua nascita, ma suppongo che si tratti di un semplice refuso del cronista. Da questo testo provengono comunque tutte le scarse notizie che sulla vita del monaco quinzanese finora si conoscevano.

Dalle lettere di Benedetto Castelli a Galileo, invece, risulta che don Serafino da Quinzano apparteneva al piccolo gruppo di studiosi bresciani raccolti attorno al discepolo di Galileo, in cui si leggevano con passione i libri del maestro e si approfondivano le sue scoperte.

In una lettera del 5 dicembre 1610, ad esempio, il Castelli, esprimendo a Galileo la curiosità di sapere se avesse verificato col cannocchiale di sua invenzione la presenza delle fasi nel pianeta Venere, aggiungeva che «nel medesimo desiderio stanno il Padre Don Serafino di Quinzano e gli Signori Ferrante Lana e Francesco Albano, affezionatissimi alla dottrina di Vostra Signoria e filosofi più che donzinali» (lett. 434bis), intendendo che i tre amici bresciani coi quali discuteva le recentissime scoperte potevano essere considerati scienziati non del tutto sprovveduti per poterle comprendere e approfondire. E non mancava di siglare la sua comunicazione garantendo che «gli sopranominati Signori li baciano le mani»: un saluto consueto con cui si chiudevano anche altre lettere del Castelli, dove il mittente faceva riverenza al grande maestro, gli si offriva umile servitore e gli baciava le mani, «l'istesso facendo Don Serafino nostro» (3 aprile 1610, lett. 287; 27 settembre 1610, lett. 399; 5 dicembre 1610, lett. 434).

In una di queste missive (3 aprile 1610, lett. 287) possiamo quasi spiare in azione il nostro monaco, che dal monastero di Brescia esercitava di fatto le sue osservazioni astronomiche, sulla scorta delle suggestioni del celebre padovano:

Circa le osservationi nella luna, già doi mesi Don Serafino mi fece vedere, con un cannone suo (di forza d'avicinar le cose nove volte e più, agrandendole più d'81 in superficie, e per conseguenza in mole più di 729 volte), quei doi cornetti che saltano in fuori dalla parte illuminata nell'oscura della luna, e parimente quelle perle, provate ingegnosissimamente per cavità da Vostra Signoria. Dei cornetti io, fondato sopra le sode dottrine di Vostra Signoria, pronontiai che erano a guisa di elevati e continui gioghi di monti sul dorso della luna, e per conseguenza prima feriti dai raggi del sole; del resto, quanto a quelle cavità et altre più osservationi e speculationi, non ho osservato nè pensato prima del'aviso di Vostra Signoria.

E così scopriamo che già dal febbraio 1610 don Serafino possedeva un «cannone suo» (cannocchiale), capace di avvicinare più di nove volte gli oggetti osservati, ingrandendoli più di 81 volte: vale la pena di precisare che l'invenzione, o piuttosto la rielaborazione dello strumento ottico che Galileo aveva presentato al governo di Venezia datava al 25 agosto 1609, e la prima comunicazione ufficiale della sua esperienza lo scienziato la fece nel Sidereus Nuncius, pubblicato nel marzo 1610. Quindi a Brescia il nostro don Serafino usava il cannocchiale almeno un mese prima che Galileo ne scrivesse pubblicamente, e con esso cominciava a scoprire «quei doi cornetti che saltano in fuori dalla parte illuminata nell'oscura della luna», identificati dal Castelli, sulla base delle ipotesi di Galileo, come vertici di alte montagne sulla superficie lunare colpite dai raggi del sole, e quelle «perle» che Galileo interpretava come delle cavità.

Non sappiamo altro dell'intraprendente monaco quinzanese dopo quell'epoca: nei manoscritti del monastero di San Faustino pare venisse definito «mathematicus insignis et musicus» (distinto matematico e musico), mentre ‒ come si è visto ‒ c'è chi ipotizza che lasciasse diversi scritti di argomento matematico, che era la sua passione, pur senza mai pubblicare nulla.

Non abbiamo nemmeno informazioni sulla data precisa della sua morte, che comunque tutti, sulla scorta del Nember, riconducono al terribile anno della peste 1630. Un necrologio lusinghiero gli riserva un raccoglitore di memorie benedettine cassinesi (Armellini 1732, p. 171), che riportiamo tradotto dal latino qui di seguito:

Serafino da Quinzano, della diocesi di Brescia, divenne monaco dei Santi Faustino e Giovita di Brescia il 12 marzo 1592. Compose molti scritti di matematica, nei quali era particolarmente esperto; così mi ha di recente scritto un erudito da Brescia, ma quali testi abbia redatto in particolare nello specifico non mi ha segnalato in alcun modo. Morì intorno al 1630.

La data della professione religiosa è vicina a quella rilevata da Guerrini, mentre la dispersione degli eventuali scritti del nostro, che forse erano solo appunti per i suoi studi, lascia aperto il dubbio sulla loro effettiva esistenza.

tc (luglio 2022)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • Giovanni Gandino, Alveario cronologico, ms di proprietà della famiglia Gandaglia, Quinzano, pp. 116-117 (s.v. "Serafico")
  • Giuseppe Nember, Gli Scrittori, e Uomini più chiari di Quinzano Paese illustre della Provincia di Brescia, ora chiamata Dipartimento del Mella, già nell'Archivio della famiglia Nember, Quinzano (oggi disperso), p. 2

  • Armellini, Mariano, 1732
    Bibliotheca Benedictino Casinensis sive Scriptorum Casinensis Congregationis alias S. Justinae Patavinae: Qui in ea ad haec usque tempora floruerunt Operum, ac Gestorum notitiae, Pars Altera, Assisii, Typis Andreae Sgariglia, pp. 202, 40, 4
  • Giudice, Franco, 2013
    "Così Galileo trovò a Brescia il suo nunzio", Corriere della sera, 12.01.2013
  • Guerrini, Paolo, 1931
    "Il monastero di S. Faustino Maggiore", Memorie storiche della diocesi di Brescia, ("Monografie di storia bresciana", 7), pp. 15-132
  • Pizzoni, Agostino, [1640]
    Historia di Quinzano Castello Del Territorio di Brescia, in Brescia, per Antonio Rizzardi, pp. 39, [4]; rist. anast.: Casanova, (a cura di), 1994

I passi delle lettere di Galileo, con la relativa numerazione, sono presi dall'edizione seguente:

  • Galilei, Galileo, 1965
    Le opere di Galileo Galilei, Nuova ristampa dell'edizione nazionale, vol. X - Carteggio 1574-1610, Firenze, Barbera