Virtuosismo e cortesia in un musico del Seicento

s rocco organo 35In queste note di vecchie memorie abbiamo ormai preso l’abitudine di alternare la descrizione di un evento o di un oggetto alla biografia di un personaggio. Dopo le intricate disquisizioni della volta scorsa sul celebre e sconosciuto organo di San Rocco, è il momento giusto per far la conoscenza di un musico di quell’epoca: e un musico non proprio da nulla.

Ad accompagnarci in questa scoperta è ancora una volta il medico Giovanni Gandino (1645-1720), il cui zibaldone di biografie – come il lettore avrà ormai capito – è assolutamente insostituibile, pur con tutti i suoi difetti, per accostarci agli uomini e al clima culturale di Quinzano in quei secoli estinti. La preziosa occasione la dobbiamo, come sempre, alla cortese sensibilità del possessore del manoscritto, il sig. Pierino Gandaglia, che, consentendoci di pubblicarne alcune pagine, conferma la simpatica e intelligente violazione alla regola che fa per lo più diffidenti e gelosi i collezionisti di documenti antichi. Anche questa è educazione civica, anzi educazione alla civiltà.

Musici originari e oriundi

Di musici dilettanti o professionali, e in particolare di organisti, è costellato tutto il quadernone del Gandino: ne abbiamo trovati almeno una trentina, e non l’abbiamo letto tutto. Si tratta quasi sempre di religiosi regolari, che appresero l’arte in convento, come si usava allora. Talvolta, ed è l’ambito degli organisti di mestiere, sono personaggi locali o forestieri assunti dalla Comunità con regolare contratto per accompagnare le funzioni pubbliche solenni con il fasto della musica, che doveva essere spesso un vero spettacolo.

Uno di questi professionisti forestieri è Orazio Pol(l)aroli (o Pol(l)arolo o anche Pol(l)arola, come si trova talvolta nelle fonti: ma la grafia dei cognomi era in quei tempi un fatto piuttosto soggettivo, visto che ci si regolava come si voleva; e neppure noi ci formalizzeremo). Sul conto del Pollarolo il testo del nostro biografo è insolitamente lungo, quasi il doppio di quanto dedica al proprio padre o al nonno; e fin dall’esordio è mosso da una cerimoniosità aulica se possibile ancor più gonfia e pomposa del consueto: segno della grande stima di cui il vecchio organista godeva ancora presso i quinzanesi a vent’anni dalla morte (le pagine 377-381 che lo riguardano sono datate 31 gennaio 1703).

Critica e attendibilità

«Merita Orazio Polaroli l’Inscritione Elogiale...» Confessiamolo: muove quanto meno un sorriso questo esordio così declamatorio e iperbolico. Tanto più che il lettore, se avrà la pazienza di sorbirsi tutta la tiritera, si accorgerà quanto poco di attenzione critica contenga la narrazione, tutta costruita su affermazioni di sperticato elogio e aneddoti edificanti al limite della barzelletta. Del resto, questo è quanto ci ritroviamo per le mani. E dobbiamo pur chiamarci fortunati, se del nostro musico secentesco non possedevamo poco più che il puro nome fino a oggi, per giunta non senza una certa dose di confusione con un omonimo della generazione successiva.

Non avendo elementi di carattere tecnico-artistico, ci asterremo evidentemente dal definire un giudizio sulla musica del Pollarolo. Potremo, però, imbastire alcuni elementi relativi alla cronologia della sua vita, con l’aiuto appunto delle informazioni del biografo Gandino.

La prima verifica da effettuare, naturalmente, riguarda l’attendibilità della fonte: e qui diciamo subito che del Gandino ci fidiamo, primo perché di solito si rivela abbastanza scrupoloso, e i confronti con altre fonti spesso lo confermano; secondariamente perché in questo caso parla di persone a lui note e di fatti di cui egli stesso fu probabilmente testimone.

Due sole sono le date che riporta nel suo racconto: quella della prima festa delle “Reliquie dei Santi Nazaro e Desiderio” in Quinzano il giorno 11 ottobre 1682, e quella della morte dell’organista Pollarolo il 20 aprile 1684; a quell’epoca il biografo era prossimo ai quarant’anni e poteva ben ricordare tutti i particolari anche a distanza di tempo. Non c’è ragione, dunque, di dubitare delle notizie che ci offre relativamente ai viaggi del musico negli ultimi anni. Ma anche circa gli episodi dell’infanzia e gli inizi della carriera possiamo pensare che ne fosse informato dal Pollarolo stesso: da alcuni particolari, sembrerebbe di dover dedurre che il medico-cronista fosse in certo senso un amico di famiglia. Il fatto poi che non menzioni nessun'altra data, nemmeno per la permanenza dell’organista in Quinzano, che sarebbe stata materia facilmente documentabile, costituisce un’ulteriore conferma della serietà del biografo: se non ricorda o non sa dimostrare con certezza, comunque non inventa.

A questo punto il Gandino ci pare tutto sommato abbastanza affidabile: possiamo dunque credergli con tranquillità, ma non rinunceremo a tentare noi quei controlli documentari che egli, impedito dalla vecchiaia e dalla cecità, non riuscì a compiere.

Un artista precoce

Lasciando correre quell’aura stucchevolmente letteraria e vagamente misticheggiante di cui viene circonfuso il germogliare della passione artistica del nostro, le informazioni precise sono che nacque a Codogno nel lodigiano; che su incentivo della famiglia studiò l’organo fin da molto piccolo, e che a 14 anni era già sufficientemente preparato per essere assunto come organista dal Comune di Desenzano, con salario di oltre 90 scudi. Difficile qui districarsi con le date, tuttavia il biografo sostiene che in seguito il ragazzo si recò a Ferrara, città pontificia governata allora dal cardinale legato Fabio Chigi (una notizia incongrua che avrebbe bisogno di qualche chiarimento).

Comunque, quanto dice in proposito il Gandino è abbastanza illuminante per la ricostruzione della cronologia del Pollarolo: il cardinale governatore propose al nostro di prendere gli ordini sacri e di aggregarsi alla sua corte come “crocìgero”; il giovane musico rifiutò, per non doversi tagliare la bionda e folta chioma (!); ma pochi mesi dopo il cardinale Chigi fu eletto papa col nome di Alessandro VII. L’elezione del pontefice avvenne il 7 aprile del 1655: considerando che per l’assunzione agli ordini maggiori occorreva avere superato i diciott'anni, possiamo ipotizzare che il nostro organista sia nato poco prima del 1635, e che la sua carriera sia iniziata a Desenzano intorno al 1648-49.

Organista a Quinzano

A Quinzano, invece, arrivò per caso, dopo la cacciata dalla famigia per la mancata ordinazione chiericale, sposato con una ragazza di Vailate sua ex compagna di scuola (?) di cui si era invaghito, E per questo felice trasferimento il cronista, come sua consuetudine, sottolinea i fortunati casi della sorte: «ma per essere poi egli degno e di compatimento e di Fortuna, fù da questa qui portato alla condotta di quest’Organo», dove si vede bene che a condurlo a suonare l'organo nel nostro paese fu la "Fortuna", ossia il benevolo destino della sua vita, di cui egli era perfettamente degno (e non la giovane moglie, come con inopinato equivoco sintattico vorrebbe sostenere il Bizzarini 2015).

Non siamo più costretti a complicate illazioni per la cronologia del suo servizio in Quinzano: una veloce ricognizione nel ricco archivio storico del Comune ci ha permesso di reperire il registro dove sono annotati i compensi versati all’organista (b. 16, cc. 144r-212r passim). Dopo la lunga condotta del prete Tommaso Colosso fra il 1637 e il 1660) e una breve parentesi del prete Andrea Grossi negli anni 1660-1661, il nome di Orazio Polaroli vi figura tra il 4 novembre 1661 e il 7 dicembre 1665: durò, dunque, all’incirca quattro anni la sua condotta nella nostra chiesa. Con un po’ di fortuna si potrebbe recuperare la delibera civica che ne disponeva l’assunzione, e magari anche il libro coevo delle partite dei dipendenti, per verificare con maggior precisione l’ammontare dell’onorario, che secondo il Gandino fu di oltre 80 scudi (inferiore a quello offertogli a Desenzano quando aveva solo 14 anni), ma per ora non ne abbiamo avuto l'occasione.

Il biografo parla anche di una «casa comoda» offerta dal Comune all’organista, e di «altre regalie ancora», cioè vari premi di riconoscenza e apprezzamento, come non si era mai fatto per gli organisti civici che l’avevano preceduto, e non si ripeterà più per i suoi successori. E pure di questi atti liberali dell’autorità si hanno prove, ad esempio nella primavera del 1662 (b. 16, c. 167r; il versamento è senza data, ma l’hanno quelli accanto): «lire trenta soldi dieciotto denari quattro planet per pretio de some due formento datto al signor Horatio Polarola orghenista a lui datti senza pretio ... qual è in donativo overo sopra piu dall’honorario».

A Quinzano nacque anche nell'agosto 1662 uno dei suoi figli, Giovanni Battista, come appare dall'atto di battesimo dell'Archivio Parrocchiale (registro 1639-1697): «Adi 30 detto [agosto 1662] Giovanni Battista figliolo del Signor Horatio Polaroli et Signora Lucia sua moglie fù battezato da me Giovanni Capello Arciprete Compadre il Signor Giuglio Guadagnio».

Grandi qualità di ... cavaliere

Non attendiamoci – come s’è detto – dal Gandino una valutazione critica consapevole sull’arte del nostro musico: per il cronista è sufficiente prova di straordinario valore il concorso di folla che riempiva la chiesa ogni volta che l’organista si esibiva, e così pure l’affetto che i quinzanesi presero a nutrire per quel “milanese” ormai sentito come concittadino. Lasciamo al lettore di godersi – se vorrà – la lettura dei due episodi curiosi capitati al nostro ottimo Orazio in quel di Quinzano, limitandoci a rilevare alcuni dati di qualche interesse.

Nell'aneddoto del frate carmelitano di Santa Teresa, bravo dilettante di spinetta e clavicembalo capace di reggere il confronto e meritare l’elogio del professionista, risulta che il Pollarolo abitava in una casa adiacente a quella dell’arciprete, all’epoca don Giovanni Capello.

Il caso piuttosto comico capitato all'organista all’esordio del suo servizio quinzanese merita un cenno, poiché il testo di Gandino non è chiarissimo: dopo alcune abili improvvisazioni del Pollarolo alla tastiera, il maestro di cappella (ossia il direttore del coro) don Girolamo Vertua, vecchio assai miope, e i suoi cantori, di occhio non più acuto del suo, pongono davanti all’organista per errore un libro di musica girato a rovescio; l’esecutore, pensando che lo si volesse mettere alla prova, sta al gioco e legge imperterrito la partitura come se fosse stata dritta: ma era solo un errore, senza alcuna perfidia da parte di quei vecchi religiosi, che pure avevano tutti «gl’occhiali su' loro nasi». E la svista si ripeté più volte anche in seguito.

Ciò che ci preme rilevare in questo punto è l’esistenza nella nostra chiesa, come in molte altre chiese importanti di città e anche di paese, di una cappella musicale, che a Quinzano era composta allora da vecchi religiosi, con un maestro altrettanto vecchio, di cui ci vien detto pure nome e cognome.

I due simpatici aneddoti, dunque, lungi dal rivelarci qualcosa della tecnica o della cultura compositiva ed esecutiva del nostro musico, si compiacciono nell’esaltazione delle sue attitudini – diciamo così – cavalleresche, della sua cortesia cerimoniosa, del carattere modesto e rispettoso dell’autorità: segno non necessariamente di ipocrisia, in un tempo in cui l’apparire era assai più sostanziale che non l’essere.

Il culmine della carriera

Naturale che un «sí grande huomo, che mai più haveva sentuto altro pari suo», come diceva di lui il frate carmelitano, non potesse radicarsi in un piccolo luogo come Quinzano, e avesse più alte aspirazioni. La sua crescente virtù (‘lui’ nel testo significa di solito ‘di lui’ cioè ‘sua’) richiedeva «magior capacità di luogo», ossia luoghi più grandi: e il luogo grande più vicino era la città di Brescia.

Il Gandino menziona dapprima la collegiata di San Nazaro, dove il buon Orazio dovette essere assunto dopo la partenza da Quinzano nel 1666; e quindi la chiesa dei padri della Pace. Ma le indagini qui si fanno complesse, anzitutto per la mancanza di documenti e di ricerche approfondite (per ora esistono solo i pochi cenni di M. Sala), e ancor più per il fatto che i musici Pollaroli attivi tra XVII e XVIII secolo in Brescia, addirittura nelle medesime istituzioni, sono diversi, e tra essi figura anche un omonimo Orazio, posteriore al nostro di qualche decennio, ma talvolta in passato confuso con lui.

Di certo sappiamo che nel 1669 il nostro Orazio era organista presso la cattedrale di Brescia (Sala 1984). È dunque attendibile anche in questo punto la ricostruzione offerta dal Gandino, il quale si sofferma su un fatto che meriterebbe un approfondimento.

La prova del concorso bandito dal Capitolo del duomo e dal Comune cittadino per il posto di organista consisteva nel suonare alle funzioni, alternandosi con gli altri concorrenti, per tre festività. Al nostro Pollarolo toccarono i riti della Pentecoste. Sulla inverosimile ammirazione della gente, che tratteneva il respiro mentre l’organi­sta si esibiva, e nei momenti di pausa alzava un brusio di ammirazione così forte da coprire le voci del coro, niente da dire. Decisamente più interessante è il tentativo di plagio da parte del concorrente Antegnati, il quale per far colpo eseguì come suo proprio un difficile brano composto dal Pollarolo, e intitolato per giunta dal suo nome, come allora si usava, La Polarola. Il vero autore smascherò il plagiario, portando a testimone il proprio figlio e dimostrando che della composizione aveva donato copia alcuni anni prima a una monaca di Santa Giulia sua allieva, con l’esplicito divieto di divulgarla.

Questo, almeno, è quanto sostiene il Gandino, che in quel periodo era un giovanotto ventenne e risiedeva spesso a Brescia, dunque poteva ben essere stato testimone oculare. Chi fosse poi quell’Antegnati che ci fa proprio una magra figura è difficile dire, se non che in quella famiglia si era per tradizione da quasi due secoli dediti alla fabbricazione di organi e all’esercizio della professione di esecutori, che allora era quasi lo stesso. Negli anni 1650-1670, però, per quel che si sa al momento, non sembra documentato nessun Antegnati di qualche rilievo.

Gli ultimi anni

Nel tempo delle condotte bresciane il nostro Pollarolo esercitò, come si è visto, anche l’insegnamento, ed ebbe, oltre al figlio e alla monaca distratta, diversi discepoli dalla brillante carriera (cfr. Sala 1981). Potrebbe pure essere che sopravvivano alcune sue composizioni, ma questo è argomento da musicologi sottili.

Dalla biografia sappiamo che quello fu un periodo tragico della sua vita, poiché perdette nello stesso giorno la moglie e una figlia, colte dall’attacco acuto di una malattia epidemica. Dopo questa dolorosa prova, con il consiglio e l’appoggio dei colleghi e degli amici, il nostro Orazio decise di farsi finalmente prete. Cedette, infine, nel 1676 il suo prestigioso posto di organista del duomo cittadino al figlio Carlo Francesco, ancora adolescente ma già professionista raffinato e conteso. Questa è l’ultima informazione del biografo che possiamo confortare grazie alle fonti documentarie. Il Gandino dichiara poi che il nostro fu a Venezia «a sonare e far le musiche alle Cittelle» (una specie di via di mezzo tra orfanotrofio e conservatorio femminile); e successivamente in San Marco, con buon successo, ma non si dice in che veste.

Fu quindi di nuovo nel bresciano. Anzi con il figlio ritornò almeno una volta a Quinzano, in occasione della prima festa delle “Sante Reliquie”: una ricorrenza voluta dal Comune, patrono dell’altare di Sant’Anna nella parrocchiale, e documentata in alcuni atti del Consiglio (meriterebbe uno studio accurato, ma per il momento dobbiamo sorvolare).

Infine si recò in Polonia, presso la corte del re, che doveva essere Giovanni III Sobieski (1674-1696), e non Giovanni II, come dice il Gandino – ma una piccola svista gliela possiamo pure concedere. Spossato dal clima inospitale di quella terra (non dimentichiamo che il biografo era medico, e dunque particolarmente sensibile alle manifestazioni patologiche dei suoi personaggi), decise di tornare a Brescia, ma le fatiche del viaggio lo esaurirono, sicché morì in Vienna il 20 aprile 1684.

Dopo il rammarico di non averlo più rivisto in paese, e la celebrazione delle sue qualità nella memoria dei quinzanesi, la biografia si chiude con il ritratto fisico (fisiognomico si sarebbe detto allora) del personaggio, che è ciò che il Gandino consegna anche alla nostra memoria.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. IV n° 32, giugno 1996, pp. 3-4, con aggiornamenti)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • Quinzano - Archivio Storico Comunale: reg. 67 (già 16) Registro Cassa 1649-1673.
  • Giovanni Gandino, Alveario cronologico, ms inizio del sec. XVIII (proprietà della famiglia Gandaglia, Quinzano), pp. 377-381: Orazio Pollarolo musico

  • Bizzarini, Marco, 2015
    "Pollarolo, Orazio", Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 84
  • Sala, Mariella, 1981
    “Le cappelle musicali”, in AA. VV., La musica a Brescia nel Settecento, Brescia, Grafo, pp. 57-92
  • Sala, Mariella, 1984
    Catalogo del fondo musicale dell’Archivio Capitolare del Duomo di Brescia, Brescia-Torino, Centro Studi musicali “Luca Marenzio” - EDT