Le Dimesse del Santissimo Sacramento

dimesse ricostruz 3d 1Nel 2011 a Quinzano si celebrò, un po' in sordina a dire il vero, il quarto centenario della fondazione (25 novembre 1611) e il secondo della soppressione (settembre 1811) del collegio delle dimesse, nate col titolo di "Vergini della Madonna in Castello" e divenute in seguito "Oblate del Santissimo Sacramento". Ma chi erano queste dimesse, come erano organizzate, e cosa le spingeva ad associasi in vita comune?

Anzitutto va detto che il loro non era un convento o un monastero come tanti ne esistevano a quei tempi: potremmo dire che assomigliavano di più alle comunità di suore che conosciamo oggi, benché collocate in un contesto in cui le donne religiose potevano essere accettate soltanto se rinchiuse a vita in una cella, senza possibilità di contatti con il mondo al di fuori di essa.

Le nostre dimesse invece vivevano in un luogo relativamente aperto alla comunità circostante, che per distinguersi appunto non assumeva il nome di convento, ma di collegio. Le donne che vi accedevano, perlopiù ragazze di buona famiglia o vedove benestanti, non pronunciavano voti permanenti: formalmente potevano andarsene quando volevano, anche se questa eventualità capitò assai di rado nei duecento anni della loro storia. Questa condizione di relativa libertà si manifestava anche nel loro abbigliamento: sull'abito nero di stoffa modesta ("dimessa", da cui il nome) portavano un velo bianco, come nei conventi accadeva solo alle novizie non ancora professe. Ma nella vita ordinaria portavano il capo scoperto, coi capelli lunghi acconciati a crocchia sulla nuca, e il velo, con un lembo per coprire il volto, lo indossavano solo se uscivano; perché di casa uscivano eccome, e lo facevano anche abbastanza di frequente, per fare catechismo la domenica nelle chiese del paese, o per andare ogni giorno alla messa parrocchiale, almeno finché non ebbero la possibilità di edificarsi la loro chiesetta accanto al collegio.

La loro sede fu al principio una vecchia casa in contrada della Rosa (oggi via Gianpaolo Rubino), già dimora della famiglia del poeta Gianfrancesco Conti, detto Quinziano Stoa, poi donata agli arcipreti della parrocchia, che però non vi risiedettero mai. Il parroco don Vincenzo Manzino (1586-1617), che ebbe un ruolo determinante nella fondazione del collegio nel 1611, la destinò ad abitazione delle prime sei dimesse, che con attitudine imprenditoriale si misero subito d'impegno ad acquistare edifici diroccati e orti adiacenti, ampliando la proprietà fino a comprendere tutto l'isolato tra l'attuale piazza IV Novembre e piazza Garibaldi (l'area delle scuole medie, la posta e il teatro Sociale, per intenderci). Alla fine anche il Comune pensò di donare loro il vicolo che da contrada della Rosa portava al terraglio meridionale (i giardini pubblici con la fontana) perché vi costruissero la propria chiesa, che dedicarono al Santissimo Sacramento (poi trasformata in teatro comunale, e oggi auditorium e sede espositiva).

L'attività delle consorelle, accanto all'adorazione eucaristica, si esprimeva soprattutto nell'educazione delle giovani donne: ospitavano una decina di pensionanti interne, e poi ogni giorno feriale aprivano la loro casa a circa duecento bambine e ragazze del circondario, per insegnargli le preghiere, il catechismo, i lavori domestici e il ricamo. Si tratta di una delle primissime scuole popolari femminili aperte a tutte nella storia del bresciano. Senza contare che sotto il profilo economico le dimesse si autofinanziavano soprattutto con le doti che ciascuna di loro portava entrando in comunità, e che venivano investite in modesti prestiti di denaro a breve termine e a tassi d'interesse del 5-7%, con i quali venivano incontro alle necessità del piccolo credito al consumo.

Già queste sintetiche note mostrano la modernità e l'intraprendenza di queste donne sole, che uscivano dalla casa d'origine per non gravare sulla famiglia, e per non essere gravate dall'autorità di padri, fratelli o cognati, per non dire delle suocere o cognate; e si univano ad altre donne nelle stesse condizioni, gestivano con autonomia e in forma schiettamente democratica i beni comuni, destinavano i propri sforzi all'educazione e promozione della gioventù femminile del tempo.

Studiare la loro storia è come attraversare un microcosmo affascinante e per certi versi moderno: una ventina di donne indipendenti, soggette all'unica autorità del vescovo diocesano per il tramite dell'arciprete locale (non erano – come a volte si dice – Orsoline, perché non furono mai aggregate alla compagnia diocesana di Sant'Orsola), dedite alla preghiera e all'insegnamento, come pure all'amministrazione oculata del loro patrimonio comune, che si autogestivano in perfetta democrazia eleggendo periodicamente il consiglio direttivo. Un bel microcosmo femminile che avrebbero certo qualcosa da insegnare anche a noi.

tc (febbraio 2022)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • Giovanni Gandino, Alveario cronologico, pp. 555-ss, (ms del primo sec. XVIII, di proprietà della famiglia Gandaglia di Quinzano)
  • Giuseppe Nember, Memorie spettanti alle Chiese, ed alle fabbriche pubbliche di Quinzano, pp. 141-149, 160-168 (ms del 1810 circa, già nell’Archivio della famiglia Nember di Quinzano, oggi disperso)

  • Tommaso Casanova, 2012
    "Osservare i divini precetti, aiutare il publico, far scola alle figliole"", Presentazione della mostra (Quinzano, ex chiesa delle DImesse, 1 aprile - 1 maggio 2012)