Le sante di luglio e l’altare del Comune

Santa Maria Maddalena

s giuseppe prezsangue 02Il 22 luglio ricorre la festa di santa Maria Maddalena: una santa testimoniata a Quinzano, se non nel culto odierno, certamente nell’iconografia. Non mi soffermerò sulla statua lignea appartenente al gruppo della Crocifissione, un tempo nella cappella-ossario del cimitero e oggi conservato nella chiesa parrocchiale: è un’opera ancora discussa nello scopo e persino nella datazione. Mi limiterò a rilevare che simili gruppi scultorei, raffiguranti il Calvario, ovvero altri episodi della passione di Cristo, erano tipici del culto delle Discipline, e venivano portati lungo le vie del borgo in solenni processioni penitenziali nei giorni della Settimana Santa, come succede ancora in molti paesi del centro e sud Italia.

A Quinzano esiste, in ogni caso, un’altra immagine della Maddalena, meno nota forse, ma certamente non meno meritevole di rilievo. Il dipinto è stato attributo al primo ‘600 e definito "Il Cristo glorioso" (Fusari 1985). È posto oggi nella chiesa di San Giuseppe, sulla parete a sinistra dell’ingresso, ma non è questa la sua collocazione originaria. Raffigura, appunto, Cristo risorto attorniato da angeli che reggono gli strumenti della passione; dalla ferita del suo costato sgorga un fiotto di sangue, raccolto con il calice da un angelo. Alla base compare da un lato san Paolo in piedi, con la spada in mano, appoggiato a una stele dove sta scritto:

QVOD ACCEPI
A DOMINO HOC
TRADIDI VOBIS
.I. COR. II.

(«Ciò che ho ricevuto dal Signore l’ho trasmesso a voi». I Corinti 11,23).

Sulla destra una santa inginocchiata, col viso rivolto a contemplare il Risorto, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e tra le mani un piccolo vaso, di cui si scorge solo il coperchio. C'è chi l'ha identificata in santa Caterina patrona dei mugnai, ma non mi sembra di rilevare nessuno degli attributi iconografici caratteristici di santa Caterina d’Ales­sandria, in particolare i segni della regalità e soprattutto la ruota dentata del suo leggendario martirio, che la fece cara ai mugnai. Penso, invece, che i lunghi capelli e il vasetto degli unguenti la definiscano con chiarezza come la Maddalena, del resto perfettamente conforme al soggetto del quadro, che è il Cristo risorto, in particolare nel suo aspetto eucaristico.

In realtà il tema eucaristico dell’opera è ben evidente, soprattutto nel simbolo del calice che raccoglie il sangue del Redentore, nonché nella citazione di san Paolo, che introduce appunto, nel testo della Prima lettera ai Corinti, il racconto dell’istituzione dell’eucaristia. Mi viene dunque il fondato sospetto, o diciamo pure la certezza, che questo dipinto fosse la pala cosiddetta del "Preziosissimo Sangue", originariamente appartenente all’altare del Santissimo Sacramento nella chiesa parrocchiale: quell’al­tare che nel marzo 1909 fu spogliato della sua antica icona, per essere dotato di una nicchia con una modestissima statua del Sacro Cuore, a dispetto di ogni tradizione e di ogni buon gusto. Nihil sub sole novi, come dice la Bibbia (basta pensare, per non andar troppo lontani, a certe recenti migliorie di confessionali o a certe vetrate istoriate in quella stessa e in altre sedi della parrocchiale).

In margine, da profani osserveremo che l’impressione generale inviterebbe a collocare cronologicamente il quadro in un’età forse un po’ anteriore rispetto a quella proposta dalla letteratura, e ad avvicinarlo in qualche modo all’ambiente dei Moretteschi, al quale le figure soprattutto di san Paolo e della Maddalena rimandano in maniera abbastanza precisa. Speriamo che qualche esperto se ne accorga, e si dia la briga di studiare l’opera con adeguata competenza.

L’altare di sant’Anna

s faustino s anna 02Passiamo, però, all’argomento principale del nostro articolo: la figura e il culto di sant’Anna, la cui memoria ricorre il 26 luglio. I lettori assidui di questa rubrica ricorderanno che, sia pur di passaggio, il nome della madre di Maria è ritornato più d’una volta nei nostri contributi, in particolare a proposito dell’altare a lei dedicato nella chiesa parrocchiale. Per i distratti, rammenteremo che è il secondo altare sul lato destro della chiesa, tra la porta d’ingresso meridionale e l’altare della Madonna.

Il quadro che vi campeggia è, si può dire, un caso pressoché unico di grande ex-voto offerto dal Comune e impiegato come pala d’altare. Una specie di lapide sbozzata, dipinta alla base della scena, è infatti decorata dello stemma comunale quinzanese: una torre gialla, sormontata da un’aquila nera con le ali aperte volte verso il basso, su fondo rosso («di rosso, alla torre d’oro, caricata d’un aquila al volo abbassato di nero», come direbbero gli araldisti). Accanto allo stemma si leggono le parole latine:

VOTVM CO(mun)ITATIS
QVINTIANI
CAVSA PESTIS
ANNO 1630 DIE 24
LVLY.
GRATIA OBTENTA
EST.

(Voto del Comune di Quinzano a causa della peste, nell’anno 1630, giorno 24 luglio. La grazia è stata ottenuta).

Il dipinto, attribuito a Gian Giacomo Pasino detto l’Usignolo, da Soresina (cfr. L’Araldo n° 42, maggio 1997), rappresenta la "Madonna col Bambino in gloria, sant’Anna e la beata Stefana Quinzani". Sullo sfondo, ai piedi di Maria e sotto le mani imploranti delle celesti protettrici, è delineata la celebre immagine del paese di Quinzano: il ponte di Passaguado sulla Savarona; la via di Brescia, con il Castèl visto dalla porta de Mercàt (l’accesso da nord); l’abside e il fronte settentrionale della chiesa parrocchiale, con lo svettante campanile (forse ritoccati, dopo gli interventi edilizi della seconda metà del secolo XVII); la contrada di San Giuseppe nel Borgo di Borgo con la piccola torre della chiesa; e la Savarona, fino alle cascatelle che forse alludono al Chiavicone.

In primo piano, in una ricostruzione di fantasia poiché non poteva certo essere quella la vera collocazione, alcune capanne del lazzaretto, con gli appestati ritratti in momenti di vita, che dovrebbero essere drammatici e appaiono invece quasi idilliaci.

Ex-voto per la peste

Ora possiamo dire qualcosa di più riguardo a questo altare e agli eventi che portarono alla sua erezione.

Anzitutto dobbiamo osservare che la data segnata nel quadro non è quella della sua realizzazione, né tanto meno rappresenta il giorno in cui cessò il contagio in paese. Dagli atti del Comune (pubblicati o riassunti in parte da Gandaglia), risulta che il contagio aveva messo in ansia il civico consiglio fin dall’aprile del 1630, ma alla fine di giugno non aveva ancora fatto la sua comparsa in paese. Purtroppo, però, vi dovette scoppiare poco dopo, giacché il 4 agosto il morbo infieriva così violentemente, che il Comune dovette vendere dei terreni per poter pagare i seppellitori dei morti. E continuò così per lunghi mesi, fino all’aprile del 1631, quando il consiglio municipale prendeva in affitto le case delle Caselle per ospitarvi un lazzaretto.

Sarebbe molto interessante approfondire le ricerche sulle epidemie di peste nella nostra zona, con tutte le loro implicazioni umane e sociali; e forse ciò potrà essere oggetto di un prossimo intervento. Tuttavia, l’argomento di cui ci stiamo occupando ora impone di restringere il campo a un episodio specifico: la fondazione dell’altare civico di Sant’Anna, e a questo per il momento ci atteniamo.

Il documento più interessante per noi in proposito è la delibera del consiglio speciale (più o meno la giunta municipale di allora), del 25 luglio 1630 (cfr. Gandaglia 1988). Vi si sostiene che la calamità del tempo ha suggerito agli amministratori di erigere un altare intitolato a Sant’Anna nella chiesa parrocchiale dei Santi Faustino e Giovita in Castello, e di far cantare una messa solenne ogni anno nel giorno della ricorrenza della santa. Tutto ciò, si sottolinea, per voto del pubblico consiglio.

Ecco dunque come si spiega la data apposta sul dipinto, che anticipa di un giorno per un errore, o perché fu proprio il 24 luglio che il voto venne espresso, mentre il 25, vigilia della festa di Sant’Anna, fu semplicemente ratificato in forma ufficiale dal pubblico consiglio. È naturale, pertanto, immaginare che il quadro e il relativo altare siano stati realizzati solo alcuni mesi dopo, verosimilmente una volta cessato il contagio e ripresa in paese la vita consueta, mentre i superstiti ringraziavano Dio di essere stati risparmiati e celebravano suffragi per i loro congiunti decimati dalla terribile malattia.

Le dotazioni dell’altare

Un altare era allora ben più di un semplice arredo architettonico, come saremmo portati a credere noi moderni ormai disabituati agli usi ecclesiastici di una volta. In realtà, sul piano del diritto canonico, l’altare era un ente giuridico in piena regola. La sua realizzazione comportava un impegno economico consistente, paragonabile all’incir­ca alla spesa per una casa di medie dimensioni; la manutenzione, poi, e la dotazione di suppellettili dilatavano nel tempo l’esigenza di denaro, che non poteva sempre essere soddisfatta con il semplice contributo delle elemosine. Quando, inoltre, all’altare era annessa la celebrazione di messe (la cosiddetta cappellania), per il compenso del celebrante si richiedeva una rendita fissa, proveniente da una dotazione di beni immobiliari e proporzionata al numero di messe da celebrarsi nell’anno.

Il Comune di Quinzano, dunque, al momento di erigere l’altare civico di Sant’An­na e la relativa messa solenne del 26 luglio, stabilì di costituirne la dotazione fondiaria con i beni lasciati in legato dal signor Horatio Cirimbelli. Di questo testatore e del suo testamento non sappiamo al momento nient’altro di preciso; in compenso abbiamo recuperato un contratto di locazione dei terreni pertinenti all’altare, in data 20 maggio 1642.

Dall’atto emergono alcuni particolari interessanti. Anzitutto veniamo a sapere che il Comune governava l’altare civico mediante due delegati (reggenti e deputati) eletti dal consiglio: in questo caso sono don Alberto Guadagno e don Domenico Castelnuovo (si ricordi che il titolo di don era attribuito allora non solo ai religiosi, ma a tutti i personaggi anche laici di un certo rilievo sociale, un po’ come si usa ancora oggi nel meridione).

L’affittuale è don Giovanni Paolo del quondam (cioè defunto) messer Giovanni Antonio Mersoni di Quinzano. A lui vengono attribuiti i fondi di proprietà dell’altare, che sono 6 piò e 50 tavole di terra arativa adacquata e vitata nel territorio di Quinzano, in contrada del Per e in parte della Molzina, con un’ora d’acqua della seriola Quinzana. Il contratto è quinquennale, dal San Martino del 1641 alla stessa data del 1646, e la quota annua è di 22 lire planet (la moneta bresciana) per piò, da versarsi in due rate, a Natale e a fine maggio, nelle mani del cappellano nominato dal Comune, in quel tempo il reverendo don Gian Giacomo Gandino. Anche il contratto d’affittanza fa cenno al testamento di Orazio Cirimbelli, ma non dà gli estremi del documento, per cui non ne facilita l’eventuale reperimento. Le ultime clausole sulla tempesta e sulle modalità del pagamento sono abbastanza consuete nei contratti di quel genere; l’appendice sulla semina dei prati è piuttosto oscura, e forse in parte errata; ma chi è della materia, ne capirà certamente il senso.

La devozione all’altare civico di Sant’Anna perdurò costante anche nei decenni successivi. Non possiamo dire nulla, al momento, riguardo alle iniziative delle classi popolari; ma i possidenti, che di solito lasciano segni più vistosi e individualizzati del loro passaggio nella storia, mostrano il loro fattivo interesse attraverso i lasciti. In effetti, più d’una volta negli atti del medesimo notaio Francesco Gandino che rogò la locazione, compaiono testamenti in cui l’altare di Sant’Anna è destinatario di una più o meno consistente somma di denaro, insieme ad altre pie istituzioni cui i quinzanesi del tempo erano tradizionalmente legati: la scuola del Santissimo Sacramento e l’altare di San Pietro Martire nella parrocchiale; il Santo Rosario e San Carlo in San Rocco; il Nome di Gesù in San Giuseppe; la Concezione e San Francesco al Convento; la Madonna della Pieve.

A titolo di curiosità, va detto che la devota usanza dei pii legati durò, a quanto pare, fino al secolo XIX, come si vede dal testamento datato 16 marzo 1852 del signor Andrea Barra fu Giorgio, che istituì un lascito per tre cappellanie agli altari della Beata Vergine della Pieve, del Santo Rosario in San Rocco, e appunto di Sant’Anna in San Faustino (atti del notaio Vincenzo Rossini).

La doratura dell’ancona

Un momento particolare l’altare di Sant’Anna lo visse negli anni 1660-61, quando si pose il problema della doratura dell’ancona. Chi abbia letto altre volte i nostri contributi sa che la trafila attraverso cui passava un altare nei secoli XVI-XVII era un po’ sempre la stessa: fondazione, dotazione di beni, elezione della reggenza, realizzazione del quadro (la pala), costruzione dell’ancona (cornice), e decorazione in oro e colori (indoratura). Ognuna di queste tappe era scandita, di solito, da un contratto notarile che, quando si è fortunati, salta anche fuori dalle filze dei vecchi notai.

Anche l’altare del Comune di Quinzano percorse questo cammino, e ci impiegò una trentina d’anni. Ma possiamo sentire le parole stesse del consiglio speciale, dalla riunione del 24 ottobre 1661, riportate da un atto pubblico (Quinzano-Archivio Comunale: b. 12, Atti del Consiglio 1627-1662, c. 372r):

Adi 24 ottobre 1660 [...]
Nelli anni 1630, et 1631, nelli quali regnava crudeliss‹im›a pestilenza quasi per tutta Itaglia, et haveva datto principio á rovina anco di questa terra, la Comunitá fece per voto erregere nella Chiesa Parochiale un Altare á gloria et honore della gloriosa Santa Anna et per miracolo cessó quasi subito detta crudelissima infirmitá;, resta hora far adorar l’Ancona di detto Altare. Percio va parte chi vole fatta che sia la cerca per ellemosina dalla persona del molto Illustre et molto Reverendo monsignor Don Giovanni Capello dignissimo Arciprete di questa terra, essendosi essibito ció fare per caritá in compagnia delli Deputati sia poi de danari di questo publico pagato il resto della spesa fatta in adorar detta Ancona, et elletti per Deputati messer Alberto Guadagno, messer Domenico Castelnovo, messer Giacomo Basello et messer Horatio Pizzamiglio. La parte há ottenuto á tutte balle et ita etc.
Ludovico Gandino Cancellario.

La questione circa la peste e il voto per erigere (erregere) l’altare ci era già nota; anche se forse la cessazione del morbo – come si è visto – non era stata proprio così immediata come dichiarano gli assessori dopo trent’anni. Nel frattempo, comunque, grazie ai denari messi a disposizione dal Comune e alle elemosine o ai lasciti della gente, doveva essere stato realizzato l’altare con la sua pala e l’ancona lignea, che sostanzialmente è quella sopravvissuta fino ai nostri giorni.

Qualche problema forse di liquidità aveva però impedito fino a quel momento di procedere alla doratura (adorar = dorare, naturalmente). Il degnissimo arciprete dell’epoca monsignor Giovanni Capello, che il lettore assiduo conosce già poiché ci siamo soffermati a lungo su di lui in altra occasione (L’Araldo, n° 40, marzo 1997), si era spontaneamente offerto (essibito) di promuovere tra i fedeli una raccolta di fondi (la cerca per ellemosina) in collaborazione con i responsabili municipali dell’altare. A quel punto la giunta comunale delibera all’unanimità (à tutte balle) di aderire all’invito del parroco, offrendosi inoltre di provvedere all’eventuale conguaglio della spesa, in caso che le offerte raccolte non fossero sufficienti. Nel contempo vengono pure eletti i responsabili dell’altare, che sono i due del 1642: Alberto Guadagno e Domenico Castelnuovo, con l’aggiunta di messer Giacomo Basello e messer Orazio Pizzamiglio.

Un particolare merita qui di essere ricordato. Una precedente delibera civica del 3 marzo 1661 (stesso registro, c. 382r), già edita in queste pagine (L’Araldo, n° 35, ottobre 1996), concerneva espressamente la «Santella dove erano sepolti li morti al tempo della peste l’anno 1630», cioè l’edicola preesistente a quella dei Morti Abbandonati. Allo scopo di scoraggiare vandalismi contro l’edificio e le sue pitture («acció per avenire non siano guaste le dette pitture overo la copertura anco dalli figuri»), il consiglio comminava la sanzione «de lire cinque planet d’esser levata a quelle persone che saranno ritrovati á guastar dette figure o la copertura», con l’avvertenza che «detta pena sia applicata á beneficio dell’altare di Santa Anna». Un modo come un altro per reperire fondi; tanto più che anche nella santella dei morti di peste era raffigurata (come lo è oggi) sant’Anna, insieme alla Madonna e sant’Antonio di Padova.

Da un registro di cassa dell’Archivio Comunale (b. 16, cc. 149v; 151v) ricaviamo il nome e i compensi dell’indoratore dell’altare: si tratta del quinzanese Lutio (Lucio) Guadagno, che tra il febbraio e l’ottobre del 1661 ricevette poco più di 476 lire planet dalle casse municipali, in aggiunta (dovremo pensare) ai denari delle libere offerte. Anche questo Lucio Guadagno non ci è del tutto sconosciuto: anzi l’avevamo già visto all’opera diversi anni prima, nel 1615, per la decorazione dell’altare del Rosario in San Rocco (L’Araldo, n° 34, settembre 1996); e possiamo aggiungere che un documento inedito del 1616 gli attribuisce anche l’indoratura dell’ancona di San Carlo, nella stessa chiesa (si tratta di un apparato ligneo precedente a quello odierno settecentesco, restaurato nel 2021). Il Guadagno fu dunque un artigiano attivo e stimato a Quinzano per tutto l’arco della sua vita professionale.

Le vicende ulteriori

Sull’altare di Sant’Anna abbiamo ancora una notizia, relativa (guarda caso) di nuovo a un membro della famiglia Guadagni (o Guadagna, come si diceva allora), figlio di quell’Alberto che per conto del Comune si era dato tanta cura della pia istituzione. È probabile che questa assiduità dei Guadagni verso l’altare dipendesse in parte da una autentica devozione specifica, e in parte dalla volontà, abbastanza frequente in quel­l’epoca, di considerare l’altare quasi un bene di famiglia, una specie di diritto di patronato. Leggiamo dunque la breve biografia del prete Domenico Guadagno, tolta dal solito manoscritto di Giovanni Gandino (Alveario, p. 211), conservato con gran cura dal sig. Pierino Gandaglia (che come sempre merita riconoscenza):

Di Domenico Guadagno
Nato 13 Agosto 1635 Domenico Prette Sacerdotte Figlio d’Alberto, Religioso Solecito nel culto de divini officij della Chiesa, e specialmente della Dottrina Christiana nella quale sopra ogn’altro ha presieduto per l’otima Educatione de Figlioli piú volte nella Vigilanza e Zelo, come anco nella pietá verso degli Infermi, animando li Moribondi al ben morire, e gli altri alla toleranza: hebbe speciale cognicione degli Ossessi, come anco de tempi e sovra ‹o›gn’altro il piú diligente in benedirli: dilettavasi per sfuggire l’ozio di coltivare fiori specialmente viole, gelsomine e garofoli d’‹o›gni genere, e d’inserire frutti. Abbatuto da mali complicati convenne li 29 d’Agosto 1702 rendere l’anima al Creatore, lassiando nel suo testamento per avanti fatto fra li altri un legato di 30 scudi da spendersi nella translazione da farsi al Altare di Santa Anna delle Relique di questi santi Martiri de quali n’era Deputato e devoto; fu pure uno de piu utili Deputati della fabrica di questa Parrochiale, quando le furono agionte le due Navi. Haveva statura alta, grossa ossatura, ben complesso, carnagione olivastra, volto alquanto quadrato, ochio grande di sguardo fisso, pelo nero e passo longo. Amen.

Lasciamo perdere i dati caratteriali e somatici del personaggio, e l’accenno al­l’impegno per la direzione dei lavori di ampliamento nella chiesa parrocchiale, e soffermiamoci sul particolare relativo al nostro altare. Il Gandino dice che il prete Guadagno lasciò alla sua morte, avvenuta nel 1702, «un legato di 30 scudi da spendersi nella translazione da farsi al Altare di Santa Anna delle Relique di questi santi Martiri».

Si tratta delle reliquie dei santi martiri Nazaro e Desiderio, che furono al centro di una solennissima festività annuale a Quinzano a partire, per lo meno, dall’ottobre 1682. Per queste reliquie, la cui vicenda come pure il culto locale sono ancora tutti da studiare, venne approntato in un primo tempo un deposito provvisorio (cfr. L’Araldo n° 40, marzo 1997), forse una nicchia nella parete della chiesa. Fu solo nel 1702, però, che il Comune, grazie al cospicuo lascito di don Domenico Guadagno, decise di traslare queste reliquie nell’altare civico di Sant’Anna, che ne divenne la sede definitiva. E, in realtà, ancor oggi negli stipi ricavati alla base dell’ancona sono conservati alcuni reliquiari della parrocchia. Credo però che la collocazione originaria delle reliquie civiche più importanti fosse sopra la mensa dell’altare, alla base della pala, nel luogo dove in seguito fu ricavata l’urna per la statua di Cristo morto.

Della bella e preziosa ancona di Sant’Anna non abbiamo ancora rivelato chi fu l’autore. Lo sappiamo di sicuro: fu Gian Giacomo Manente, artista quinzanese anche lui, e molto ricercato non solo a Quinzano ma in diversi altri luoghi del bresciano e del cremonese per la sua abilità nell’arte dell’intaglio.

Il lettore scrupoloso vorrà giustamente conoscere la fonte di questa informazione, ma per il momento dovrà accontentarsi e fidarsi della parola. Il materiale documentario, infatti, è così interessante e consistente che al Manente dovremo dedicare ancora almeno un paio di interventi.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. V n° 44, luglio 1997, pp. 9-10, con aggiornamenti)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • 1642 maggio 20 - Affitto dei terreni dell'altare di S. Anna (pdf)

  • Fusari, Giuseppe, 1985
    “Chiesa di S. Giuseppe: Il Cristo Glorioso”, La Pieve, a. XIV n° 3, marzo 1985, p. 23
  • Gandaglia, Pietro, (a cura di ), 1988
    “Alcune Provvisioni del Consiglio Comunale (1605-1630). Dai manoscritti dell’Archivio Comunale di Quinzano d'Oglio (secolo XVII)” [2a parte], La Pieve, a. XVII n° 3, marzo 1988, p. 18