Osservare i divini precetti, aiutare il publico, far scola alle figliole

L’origine del collegio

dimesse mostra 01Entrambi i principali cronisti quinzanesi, Giovanni Gandino nell’Alveario cronologico (inizio sec. XVIII) e Giuseppe Nember nelle sue Memorie sulle chiese del luogo (inizio sec. XIX), concordano nell’affermare che tra la fine del ‘500 e i primi anni del ‘600, dopo qualche tempo di esperienza non istituzionalizzata, sei donne devote di Quinzano, nubili e vedove, si unirono spontaneamente a vita comune in un edificio accanto alla antica pieve romanica, l’ultimo di via Verolavecchia, ai margini settentrionali dell’abitato. In principio la loro convivenza era informale, priva di una regola approvata canonicamente dall’autorità ecclesiastica e del consenso di quella pubblica.

Dalla lettura del Nember emerge che, viste le potenzialmente positive ricadute sociali della presenza in paese di una congregazione di dimesse, dedite sia al perfezionamento spirituale personale che alla collaborazione educativa e pastorale nell’ambiente locale, la spinta determinante a istituzionalizzare il gruppo venne dal Comune. In un’assemblea pubblica, alla presenza dell’arciprete don Vincenzo Manzino, il 15 novembre 1611 il consiglio civico decise di appoggiare la costituzione della nuova comunità femminile, e i responsabili municipali si impegnarono a inoltrare la proposta alle autorità superiori, per ottenere l’autorizzazione ufficiale a erigere un collegio, ossia una comunità di donne che conducevano una vita non totalmente claustrale, emettevano solo il voto di castità e si impegnavano a vivere insieme in povertà e obbedienza, ma senza vincolo di peccato mortale. Appartenevano dunque alla categoria di religiose che non erano né monache (come le benedettine) né suore (come le francescane o le domenicane), e che dalla modestia dell’abito e dell’atteggiamento prendevano il nome generico di dimesse.

A quel punto si doveva provvedere anche una sede adeguata per il nuovo istituto: l’amministrazione locale e l’arciprete si accordarono per mettere a disposizione delle sorelle una vecchia casa di proprietà parrocchiale e alcune ortaglie circostanti di pertinenza del Comune, in contrada della Rosa o degli Origéni (oggi via Gian Paolo Rubino, angolo piazza IV Novembre), nella zona meridionale del Castello, lungo il terraglio della fossa sud. La casa originaria, che era stata tra XV e XVI secolo la residenza della famiglia del celebre umanista Gian Francesco Conti detto Quinziano Stoa, e in sèguito per qualche tempo l'avevano avuta in possesso gli arcipreti locali (anche se non risulta che vi abbiano mai abitato), occupava all’incirca il corpo orientale dell’attuale edificio delle scuole medie.

In quei locali del centro storico, dunque, si insediarono le prime sei dimesse, accompagnate con una solenne processione dall’arciprete, dai rappresentanti del clero e del Comune e dalla popolazione festante, nella ricorrenza della santa martire Caterina d’Alessandria, patrona delle giovani e delle vergini consacrate, il 25 novembre dell’anno 1611. Le fondatrici erano guidate da Laura Pagana, e rispondevano ai nomi di Maria Pagana, Maddalena Farina, Maria Cavalli, Lucia Stabile, e Giulia Basella, tutte di Quinzano tranne le sorelle Pagane originarie di Gabiano (Borgo S. Giacomo).

Dopo l’ingresso nella nuova casa, la stima e la simpatia della gente quinzanese verso quelle pie donne si accrebbe, come pure le donazioni in beni e in denaro dalle più varie provenienze. Dal 1612 ebbe inizio la ristrutturazione dell’edificio collegiale, e allo scopo si decise di raccogliere elemosine e legati. L’iniziativa ebbe buon esito e i lavori procedettero spediti: nel 1616 il collegio poteva finalmente accogliere le prime cinque novizie. Si pose mano anche alla edificazione della chiesa, nonostante una certa perplessità per il fatto che veniva costruita con la facciata esposta a tramontana e per questo si sarebbe rivelata troppo umida e fredda, con conseguenze deleterie per la salute delle consorelle. Nel 1620 i locali principali dell’ala vecchia dell’edificio erano completati, insieme con l’aula della chiesa, il cui altare fu benedetto nel 1621. Il coro e altre adiacenze furono realizzati negli anni seguenti.

I primi sviluppi

L’istituzione aveva assunto inizialmente il titolo di Collegio delle Vergini della Madonna in Castello, ed era governata da una commissione esterna, presieduta dall’arciprete in carica e composta per metà di sacerdoti della parrocchia e per l’altra metà di notabili laici locali, tra i quali particolarmente attivo e generoso fu per molti anni il magnifico signor Camillo Planerio.

Nel frattempo non cessavano le adesioni da parte di ragazze del paese e dei dintorni (Verola, Bassano, Ovanengo, Manerbio), ma anche dalla città e perfino dalla Valtellina. E intanto si continuava a lavorare per ampliare il recinto conventuale, nell’intento di occupare un intero isolato, fino all’angolo sud-occidentale della cinta del Castello (oggi al margine di piazza Garibaldi, più o meno dove sorgono l'acquedotto e le Poste). Le iniziative per acquisire poco a poco le proprietà adiacenti, abbatterne le costruzioni preesistenti e adattare gli spazi alle esigenze della vita e delle attività comunitarie del collegio, si susseguirono per tutto il ‘600.

Un momento di crisi drammatica dovette essere quello degli anni della peste 1630-31, dopo il quale tuttavia, su sollecitazione del sacerdote don Pietro Antonio Gandino (zio paterno del cronista Giovanni: una delle nostre fonti principali), la vita della comunità riprese più vivace di prima, con un rilevante mutamento dell’organizzazione e anche del titolo. In effetti, a partire dal 1632 la congregazione cambiò la sua primitiva denominazione mariana in quella di Collegio delle Oblate del Santissimo Sacramento, si aprì con maggiore determinazione alla vita della comunità locale e adottò un sistema di governo più agile, costituito dall’arciprete per le questioni spirituali, da un protettore laico per quelle materiali (una carica assunta allora in esclusiva dalla famiglia Conforti), e da una commissione interna di cinque sorelle: prefettavicaria e tre discrete, democraticamente elette dal capitolo della comunità ogni due o tre anni (il Nember riporta diligentemente tutti i governi succedutisi dal 1645 al 1800). La congregazione aveva raggiunto la sua piena maturità.

L’erezione canonica

Però, trent’anni dopo la loro fondazione, le dimesse quinzanesi non avevano ancora ottenuto dall’autorità ecclesiastica l’approvazione ufficiale per il loro istituto. A dire il vero, il vescovo di Brescia Marino Zorzi aveva espresso loro, forse fin dal 1612, un consenso a voce, che però le sorelle e i loro protettori non avevano più provveduto a far mettere per scritto a propria garanzia, come si richiedeva per istituzioni di quel genere. Il capitolo delle allora 17 sorelle, quindi, riunito in seduta solenne il 12 dicembre 1643, incaricò un emissario di sollecitare dal vescovo di Brescia Vincenzo Giustiniani la necessaria approvazione. Ne seguì il decreto episcopale del 22 dicembre, che erigeva canonicamente la congregazione delle Oblate del Santissimo Sacramento di Quinzano e concedeva loro l’autorizzazione a redigere in autonomia la propria regola di vita. Il breve episcopale fu eseguito il 14 gennaio 1644, allorché l’arciprete Giovan Battista Alghisi, responsabile spirituale delle sorelle in nome del vescovo ordinario, si recò solennemente al collegio per prendere possesso formale della sua giurisdizione, accolto e riconosciuto dalle religiose come loro legittimo superiore.

L’approvazione delle Regole (di cui sopravvivono, per quel che si conosce, tre esemplari manoscritti di epoca diversa, fra la metà del ‘600 e la metà del ‘700) fu invece rimandata ancora di vari decenni, e fu ottenuta soltanto il 16 febbraio 1687 dal vescovo Bartolomeo Gradenigo; anche se si può pensare che gli ordinamenti del collegio, nella loro sostanza, dovevano essere già compiuti e osservati di fatto fin dalla erezione canonica del 1643.

Intanto i lavori di ampliamento e ristrutturazione dei vecchi edifici non vedevano soste. Il cronista Giovanni Gandino, che era anche il medico privato della comunità religiosa, riferisce che spesso si trovava a dover curare le dimesse per malattie riconducibili al freddo e all’umidità, e che per questo suggerì loro con insistenza di riprogettare l’orientamento dei dormitori, per correggere la cattiva esposizione a tramontana. L’intervento costruttivo, databile agli anni ‘80 del ‘600, produsse il corpo di fabbrica nord-sud, perpendicolare all’edificio principale sul fronte della contrada, e consentì in questo modo la realizzazione di una specie di chiostro interno, circondato su tre lati da un porticato. Fu questo l’ultimo impegno consistente delle dimesse nel campo edilizio, e portò il complesso delle costruzioni conventuali alla forma che hanno pressoché conservato fino a oggi (come si può vedere nell’attuale sede delle scuole medie), mentre l’area occupata dal recinto dei cortili e delle ortaglie si estendeva su quasi tutto il fronte del terraglio sopra la fossa meridionale, in sèguito riempita negli anni '30 del secolo XIX.

L’attività istituzionale

Il Nember, conformandosi al dettato delle Regole, definisce lo scopo del collegio «non solamente diretto alla propria santificazione delle religiose sotto di esso raccolte, ma al servizio inoltre spirituale e temporale del paese, per quanto almeno può competere a religiose persone».

Le dimesse si impegnano a vivere in comune e in obbedienza all’arciprete di Quinzano e alla madre prefetta (superiora). Vestono un abito semplice, di sarza o panno nero, con una veletta triangolare di lino bianco sul petto e un grembiule bianco senza decorazioni; in casa probabilmente portano i capelli raccolti in una crocchia, ma quando escono o ricevono ospiti devono indossare un largo pannetto da testa (velo) di lino bianco non inamidato, che copre per riserbo parte del volto.

A differenza di quasi tutte le comunità religiose femminili del tempo, la congregazione non ha il carattere della clausura stretta, ma è orientata al servizio della comunità locale, con particolare riferimento all’educazione cristiana e all’istruzione delle giovani ragazze, cui le dimesse insegnano la lettura (non la scrittura, che non competeva normalmente alle donne in quei tempi) e i lavori femminili, come pure il catechismo. Dalle fonti sappiamo che l’attività educativa delle dimesse si rivolgeva a quindici-diciotto donzenanti interne, che costituivano l’accademia vivendo nel collegio, nonché a circa duecento ragazze esterne, che frequentavano la scuola durante il giorno, ritornando la sera a casa propria. Le attività scolastiche si svolgevano d’estate all’aperto, nella cosiddetta ‘corte dei carri’ (un cortile settentrionale a fianco della chiesa, oggi ridotto a minuscolo parcheggio), d’inverno probabilmente in una grande caminata (sala con camino) esistente in quella che talora i documenti chiamano la ‘casa del poeta’ o ‘degli arcipreti’, ossia nell’ala vecchia dell’edificio.

Ma le dimesse quinzanesi, oltre alla scuola quotidiana, esercitavano anche altre attività di rilievo nella comunità locale: ad esempio, era loro affidata la dottrina cristiana delle donne, la domenica pomeriggio, nelle chiese sussidiarie di San Rocco e di San Giuseppe (un impegno che conferma la non stretta clausura in cui le sorelle vivevano). Un’altra attività assidua, certo insospettabile per il lettore moderno, era la sottoscrizione di censi, ossia la concessione di modesti prestiti in denaro al tasso del 7%, che era per le oblate una maniera efficace di gestire il patrimonio costituito dalle loro doti, e per il ceto medio-basso del paese un metodo di finanziamento agile ed equo, documentato da un consistente numero di contratti per tutto l’arco della vita del collegio.

Se a questi interventi concreti e utili nella vita della comunità locale si aggiunge che la congregazione offriva un ruolo sociale preminente (alle dimesse spettava il titolo signorile di ‘donna’) e una dignitosa occupazione alle figlie cadette delle famiglie possidenti, impossibilitate a maritarsi per non disperdere troppo il patrimonio, si capisce per quale motivo il Comune di Quinzano abbia sempre mostrato una particolare predilezione per il collegio del Santissimo Sacramento, al quale fu largo di donativi e di privilegi, come ad esempio quando cedette una via pubblica che conduceva al terraglio quale sito per l’edificazione della chiesa.

La soppressione napoleonica

Nel ‘700 la vita del collegio si assestò in una regolarità senza gravi scosse, anche se verso la metà del secolo dovette subire dei ridimensionamenti, che si intuiscono dalle carte senza che si possano individuare con precisione. Sembra che negli ultimi decenni si tentasse un rilancio, al punto che fu preventivato addirittura l’acquisto di un nuovo caseggiato a mattina del corpo principale, per allargare la proprietà conventuale e fornire nuovi spazi alla scuola femminile, la quale per ignoti motivi era stata ridimensionata nel periodo precedente. Ma tuttavia non se ne fece nulla, e poi subentrò la tempesta rivoluzionaria.

Dopo due secoli di attività ininterrotta, a sèguito della conquista napoleonica, la comunità religiosa e la scuola da essa gestita dovettero chiudere per sempre la loro singolare esperienza. L’ultimo atto fu sancito per legge il 25 aprile del 1810, con il decreto generale di soppressione degli enti religiosi improduttivi, ma il collegio quinzanese proseguì in qualche modo la sua vita per quasi un anno e mezzo. Finché il 12 settembre 1811, regnando Napoleone I «per la grazia di Dio e per le Costituzioni, Imperadore de’ Francesi e Re d’Italia», l’incaricato dell’Intendenza di Finanza di Brescia Spiridione Castelli si recò di persona in Quinzano per «apporre la mano regia» sulle proprietà del soppresso collegio del Santissimo Sacramento: neppure l’evidente scopo sociale dell’istruzione femminile, cui le brave dimesse avevano assolto per lunghi decenni, le aveva salvate dalla laica condanna a scomparire.

All’epoca la comunità era composta da quattordici coriste (di cui cinque maestre) e due coadiutrici (inservienti), provenienti oltre che da Quinzano, da Cadignano, Acqualunga, Pavone, Ovanengo, Gambara e Carcina, presiedute dalla prefetta madre Anna Maria Cicognini di Pontevico. Furono tutte rimandate a casa presso le loro famiglie, e la proprietà collegiale fu inventariata e posta all’incanto. La mobilia rimasta fu acquistata da privati locali, ma gli immobili e la chiesa coi suoi arredi e la bellissima pala dell’altare, un’Ultima cena firmata e datata da Ottavio Amigoni nel 1643 (oggi conservata nella parrocchiale di San Faustino), vennero acquisiti dal Comune il 14 marzo 1812, dietro l’appassionata insistenza del podestà cavalier Francesco Peroni, con l’intento di farne la sede stabile della scuola comunale maschile e femminile. Il progetto effettivamente, pur con qualche contrarietà iniziale soprattutto di ordine finanziario, fu realizzato, mentre la chiesa nel '900 fu trasformata in teatro.

È proprio all’iniziativa di questi intelligenti amministratori del primo ‘800 che dobbiamo se l’edificio del collegio delle dimesse, che aveva ospitato per duecento anni precisi la comunità religiosa e la scuola per le ragazze di ogni estrazione sociale, continuò ad essere per molti decenni la scuola infantile ed elementare del paese, per diventare infine, dopo la costruzione delle nuove elementari nei primi anni ’60 del ‘900, la sede delle scuole medie, come continua ad essere tuttora.

Il 25 novembre 2011, In occasione del quarto centenario della fondazione e secondo della soppressione del collegio delle dimesse di Quinzano, il Comune ha inaugurato una epigrafe commemorativa sul muro orientale della ex chiesa del Santissimo Sacramento (oggi auditorium e sala mostre):

IN QUESTA CASA DI CONTRADA DELLA ROSA
GIÀ DIMORA DI FAMIGLIA DEL POETA QUINZIANO STOA
IL 25 NOVEMBRE 1611,
SOSTENUTE DAL COMUNE, DAL CLERO E DALLA POPOLAZIONE,
SEI DIMESSE
FONDARONO IL COLLEGIO DELLE VERGINI DELLA MADONNA,
POI OBLATE DEL SS. SACRAMENTO.
QUI PER DUECENTO ANNI
LE RAGAZZE DI QUINZANO E DEL CIRCONDARIO
DALLE DIMESSE APPRESERO A LEGGERE, A LAVORARE E A PREGARE.
IL COLLEGIO FU SOPPRESSO IL 12 SETTEMBRE 1811.
IL COMUNE ACQUISÌ ALLORA QUESTO LUOGO
PER FARNE LA SCUOLA DI TUTTI I QUINZANESI.

Tommaso Casanova
(Presentazione della mostra, Quinzano, ex chiesa delle Dimesse, 1 aprile - 1 maggio 2012, con adattamenti)

Riferimenti documentari

  • Giovanni Gandino, Alveario cronologico, pp. 555-ss, (ms 1710 circa, di proprietà della famiglia Gandaglia di Quinzano)
  • Giuseppe Nember, Memorie spettanti alle Chiese, ed alle fabbriche pubbliche di Quinzano, pp. 141-149, 160-168 (ms 1810 circa, già nell’Archivio della famiglia Nember di Quinzano, oggi disperso)