Quinzano e la cultura: un progresso a rovescio

Dicono che una casa, così come si presenta, come è tenuta e arredata, è immagine e specchio di chi la abita. Un luogo ordinato e lindo è impronta di personalità meticolosa; un disordine arruffato può essere invece rifugio di vitalità e fantasia. Chissà se lo stesso si può dire di un paese.

Il forestiero che entri in Quinzano, da qualunque direzione, che impressione ne trae? Capannoni squadrati con l’accetta, colori sgargianti, villette pretenziose talora di gusto un po’ dubbio; e poi, verso il centro storico, facciate appoggiate lì come per caso, accostamenti burberi di stili senza stile, rivestimenti in pietra che niente hanno a che fare con i materiali costruttivi di casa nostra. Piante quasi niente e, quando ci sono, naturalmente pini e abeti a volontà, manco fossimo in montagna.

L’immagine urbanistica di una città, di un paese, è sempre il risultato di una lenta stratificazione di pensieri, di abitudini, di convivenza civile, di organizzazione dei beni comuni, di coordinamento delle esigenze private, di rispetto o disprezzo delle impronte lasciate da chi è venuto prima, di messaggi consegnati a chi seguirà. Ne risulta una specie di roccia, all’apparenza compatta e uniforme, ma in realtà tutta segmentata dentro in tanti livelli più o meno evidenti, ognuno dei quali ha fossilizzato fallimenti e conquiste di una generazione o di una società.

Chi sappia, e voglia, può leggere tra quelle righe inconsuete l’identità di ideali e sentimenti della comunità che in quel luogo ha posto le sue radici nel tempo.

Un paese di origine feudale avrà al centro un grande palazzo, e poi uno stuolo di abitazioni di servi; un villaggio di impronta monastica sarà arroccato tutt’attorno a una chiesa; un borgo di antica tradizione comunale vedrà disseminate preziose dimore signorili, in un territorio minutamente frammentato di innumerevoli proprietà. Ma ancora: un paese ricco di denaro sfoggerà senza ritegno le sue risorse economiche nelle piazze e nelle chiese, come nelle sale e nei cortili; un paese fecondo di idee e di cultura marcherà nei particolari meno vistosi ma più vitali la sensibilità e il gusto per l’umanità e per la serena convivenza.

Dunque i muri e le strade non parlano solo la lingua di architetti e capimastri, ma soprattutto quella delle idee e delle volontà.

Le strade di Quinzano

Cosa ci raccontano, allora, le strade di Quinzano? Ci rivelano una comunità benestante, moderna e ambiziosa forse, ma con scarsa sensibilità culturale e disinteresse per il proprio passato. E a restituire il senso, la dignità di un passato non bastano certo quel paio di cartelli "gran-turismo" agli ingressi del paese, di un bel colorino marroncino, con scritte così minuscole che a stento le leggi se ti fermi proprio sotto!

Eppure non ci sarebbe da andare molto lontano per trovare esempi gradevoli e intelligenti di salvaguardia di una identità storica. Certe località del cremonese hanno tradizioni consolidate: penso a Soncino o a Castelleone, per fare un paio di esempi. Ma anche nel bresciano si va diffondendo questa sensibilità: non passa giorno che non si legga di nuove iniziative di valorizzazione del patrimonio locale, di restauri, di mostre, di pubblicazioni. Manifestazioni – è vero – di differente qualità e di vario impegno, ma pur sempre significative di un interesse che parte dalle singole comunità, accomuna amministrazioni pubbliche, parrocchie, entità culturali ed economiche, le spinge a guardare oltre il proprio orticello, a coinvolgersi reciprocamente per un progetto che superi la ristretta ombra del campanile e si armonizzi in una rilettura più ampia della storia comune di tutte le comunità legate dalla storia.

Per contrasto, l’immagine di individualismo un po’ gretto che ci offrono strade e case di Quinzano, diventa davvero lo specchio di una ristrettezza complessiva, radicata non soltanto nell’aspetto esteriore dell’urbanistica, ma in quello più intimo e personale delle convinzioni degli individui e dei gruppi.

Ma distinguiamo le responsabilità: non è giusto porre sullo stesso piano chi amministra e chi è amministrato, se non altro perché chi amministra ha tra i suoi doveri quello contribuire a educare la sua comunità.

Sordità patologica

Un esempio lampante. Il Gafo-Quinzano da tempo ha intrapreso la strada della ricerca documentaria e bibliografica sul paese e sulla zona. Gli scopi sono essenzialmente da un lato raccogliere e ordinare materiale d’archivio, per renderlo disponibile a chi voglia approfondire il nostro passato, dall’altro divulgare i risultati più interessanti delle ricerche attraverso mostre e pubblicazioni, indirizzate soprattutto ai quinzanesi, ma anche a un pubblico più vasto, per far conoscere la nostra storia a un maggior numero di persone.

Queste finalità ci sembrano tutt’altro che peregrine o velleitarie. Anzi, ci parrebbe quasi di usurpare un compito che appartiene di diritto e in primo luogo alla stessa amministrazione pubblica, che è la principale garante dell’identità comune del paese, e quindi della sua tradizione.

Ecco perché, nella nostra ingenuità, avremmo auspicato che fosse l’amministrazione stessa ad affidarci in qualche modo il compito di ricercare le ragioni del passato comune, e che fosse l’amministrazione stessa a concordare con noi i tempi e le forme in cui rendere pubblici ai concittadini e agli altri gli esiti del nostro lavoro. Per dimostrare manifestamente il disinteresse con cui operiamo, abbiamo addirittura rinunciato lo scorso anno al contributo annuale del Comune: volevamo fosse chiaro che lavoriamo a nome della comunità, non per spillare qualche centomila. Risultato: tante belle parole (naturalmente un “sì” condito con un bel sorriso non si nega a nessuno).

Ma alla fine siamo rimasti senza il contributo del ‘95, con una promessa non ancora mantenuta di rimborso spese per la mostra natalizia di vecchie cartoline, e con la soppressione del contributo per una eventuale pubblicazione nel ‘96.

Se non fosse per la cortesia dell’Araldo Nuovo che ci ospita da qualche mese, non avremmo altre possibilità di comunicare con i nostri concittadini.

Serietà di interlocutori

Del resto non ci mancherebbero testimonianze anche vicine di una maggiore sensibilità: il comune di Verolanuova – per fare un esempio – ha pubblicato negli ultimi anni una collana di opuscoli di cultura locale: i “Quaderni Verolesi”, sul tipo di quelli programmati da noi fin dal 1991. Tuttavia, mancando di studiosi locali che potessero redigere i diversi numeri, l’amministrazione di quel Comune ha richiesto la collaborazione di ricercatori esterni, contribuendo oltre alle spese di stampa anche a quelle della realizzazione stessa dei testi.

A Quinzano esiste il Gafo: un gruppo che lavora in questo senso da una decina d’anni, che ha pubblicato studi di riconosciuto valore e che con uguale serietà e impegno può realizzarne altri, senza alcun esborso per l’amministrazione civica (o per la parrocchia, o un altro eventuale sponsor), purché ci si sollevi almeno dalle pure spese di stampa. Però a Quinzano – ecco il paradosso inconcepibile – non si trova chi sia disponibile ad assumersi questo modesto impegno economico, che comunque costituirebbe un investimento a lungo termine, in vista di un arricchimento culturale della gente, alla riscoperta di quella preminenza civile e intellettuale che il paese aveva nel passato e oggi ha perduto.

Naturalmente comprendiamo le ragioni immediate, che ormai conosciamo a memoria tanto ce le hanno ripetute tutti quelli con cui abbiamo avuto a trattare: i finanziamenti ridotti, i soldi che mancano, le priorità di bilancio... Ma ciò che stupisce di più, e – vorrei dire – un poco ci offende, è che tra le righe ci si lascia intendere che tanto «i vostri libri ai quinzanesi non interessano, non li legge nessuno». Questa è l’opinione che le nostre autorità hanno della gente che amministrano! Quanto alla parrocchia, stendiamo un velo di silenzio, ché non mette conto nemmeno parlarne.

Sorvoliamo sul deprezzamento (mettiamola così) della capacità di comprensione della gente di Quinzano, che peraltro ci dimostra in molti modi il suo interesse: il terzo volume dei “Quaderni del Castello”, ad esempio, l’abbiamo realizzato proprio grazie ai contributi dei nostri amici quinzanesi. E sorvoliamo pure sul fatto che non si vuol capire che noi non abbiamo merce da vendere, ma vorremmo lavorare in affiatamento di idee e di progetti con gli enti culturali (se ancora ce ne sono, qui da noi).

Ma ammettiamo, per un momento, che sia vero che il nostro lavoro di ricerca e di divulgazione della storia locale non sia alla portata di tutti. In ogni caso, mi sembra di sentire la maestrina che si rifiuta di insegnare l’alfabeto ai suoi alunni «perché non sanno nemmeno leggere e scrivere»: una ragione di più perché chi ha gestito fino ad ora la comunità faccia un po’ di mea culpa sulla efficacia dei propri interventi. Altrimenti dovremo credere che al massimo le nostre autorità si accontentano di gestire l’ordinaria amministrazione, le urgenze dell’oggi. Per il resto, non sanno analizzare le situazioni reali, non hanno il coraggio né l’intelligenza sufficiente per disegnare programmi di spessore civile, di vasto respiro e di lungo termine, come sono quelli relativi alla cultura di un luogo, che non danno risultati immediati, ma garantiscono un futuro di persone consapevoli e creative.

Un progresso a rovescio

Quinzano nel passato ha sempre avuto un ruolo preminente rispetto alla zona circostante, tanto sul piano ecclesiastico quale pieve dapprima e poi vicaria foranea, quanto su quello civile come capo di quadra maggiore. In tale veste ufficiale costituiva un punto di riferimento importante per la politica, l’amministrazione e l’economia di una plaga che, a seconda dei tempi, dovette comprendere territori da Acqualunga a Oriano a Verola, e anche oltre.

A questa preminenza istituzionale corrispose per lunghi secoli una sorta di predominanza culturale, poiché a Quinzano risiedettero tra il XV e il XVII secolo numerosi e dotti maestri, che tenevano scuole di letteratura antica e di umanità, frequentate da giovani di tutto il distretto. Da queste scuole uscirono poeti celebri ai loro tempi, professori di università, giuristi, medici, musici dilettanti e professionali, e uno stuolo di religiosi di ogni ordine grado e cultura. Le numerose chiese del paese e le loro ricchezze artistiche rivelano la disponibilità economica e la raffinatezza culturale dei borghesi locali; le confraternite di devoti e le opere da essi compiute manifestano lo spirito di carità e la solidarietà umana e cristiana che improntava la comunità nei secoli addietro.

Negli ultimi tempi, diremmo negli ultimi cento anni, Quinzano ha gradatamente perduto tutto il suo rilievo in tutti gli ambiti: nella amministrazione civile e in quella ecclesiastica, nella demografia, nell’arte e nell’economia, nei trasporti; recentissimamente anche nella scuola.

È vero: nei rivolgimenti radicali della fase storica che stiamo attraversando molte involuzioni dei centri minori non sono controllabili, e non sono sempre imputabili alla inettitudine di qualcuno, più di quanto non siano frutto inevitabile dei tempi. Ma appunto per questo, non è perdonabile che i responsabili della comunità si lascino sfuggire ciò che potrebbero perfettamente controllare, anzi ciò che dovrebbero, per il loro stesso compito, promuovere al massimo grado.

Un esempio, per uscire dal vago. Anni fa (intorno al 1983-84) si parlò a lungo della realizzazione di un museo archeologico a Quinzano, per conservare i reperti ritrovati nella zona e in quelle limitrofe. Nella ristrutturazione allora in corso della Casa Widmer fu progettata un’ala destinata proprio a quello scopo, con tutti gli accorgimenti logistici e le dovute autorizzazioni delle soprintendenze competenti. Al momento della realizzazione, l’amministrazione comunale in carica decise di ricavare in quell’ambiente gli uffici dell’Unità Sanitaria, e il Gafo, nella consapevolezza delle giuste priorità per l’interesse comune, non insistette sul progetto già definito, attendendo tempi migliori, ma continuando a confidare in un dialogo stabile con l’amministrazione.

Ebbene: Quinzano ha perso definitivamente la possibilità di avere un museo archeologico (mentre nel frattempo lo si è realizzato a Manerbio), e dunque di continuare a essere un punto di riferimento importante per tutti gli appassionati e i ricercatori della bassa. Ma non basta: il disimpegno sistematico delle varie amministrazioni (su questo piano, va riconosciuto, non ci sono sostanziali differenze di comportamento fra le diverse militanze ideologiche o politiche) ha compromesso ulteriormente le possibilità di rinvigorire qui da noi l’attività nel campo dell’archeologia, dirottando i cultori della materia in altre sedi. Da qualche mese si stanno mobilitando in questo senso gli Amici del Castello di Padernello, che con i giusti appoggi delle autorità e delle pubbliche amministrazioni sono riusciti in poco tempo a realizzare una significativa mostra di reperti, che fa giustamente parlare di sé. Buon per loro, ma Quinzano ha perso un’altra volta il suo treno.

Pensare in grande

Adesso crediamo che sia il momento di ripensare un po’ tutto. La cultura, notoriamente, non paga nell’immediato; richiede tempi lunghi e fatica a occhi chiusi; pretende disinteresse ed è comunque una scommessa sull’azzardo. Ma l’alternativa è l’incultura, e l’incultura è inciviltà, e l’inciviltà si sconta fatalmente nello scandirsi dei giorni come delle generazioni.

Occorre studiar bene noi stessi per sapere bene chi siamo e cosa vogliamo diventare; occorre progettare percorsi sulla misura del nostro passo, ma sempre in vista di una meta progressiva; occorre capire che cosa abbiamo perduto in questi anni, non per rimpiangere ciò che non possiamo recuperare, ma per evitare che ci sfugga quel poco che non è ancora del tutto disperso.

Facciamo un bilancio oggettivo e completo delle risorse soprattutto umane di cui disponiamo, valorizziamo al meglio l’intelligenza e la competenza della nostra gente, degli studenti, degli appassionati in tutti i campi della cultura locale. Piantiamola, però, con le iniziative sporadiche, che servono solo a gratificare le meschine ambizioni, e danno sempre una misura falsa delle reazioni e dell’interesse della gente.

Quinzano, con la ricchezza e il valore del suo archivio comunale, di quello parrocchiale, anche di certi archivi privati, potrebbe diventare un punto di riferimento decisivo per le ricerche in questo campo su tutta la zona circostante. Con la disponibilità certa di attrezzature e la predisposizione di ambienti adeguati, senza grave dispendio di denaro, da Quinzano potrebbe partire un rilancio degli studi di arte e di storia per tutti i paesi dei dintorni, un incentivo alla formazione di gruppi di ricerca nei vari centri, una specie di movimento ramificato nelle diverse realtà locali, che con iniziative coordinate segnerebbe la ridefinizione di quella identità comune sovra-comunale di cui oggi più che in passato si sente viva l’esigenza.

I giovani sono interessati: lo so per esperienza diretta nella scuola. Si tratta di cogliere al volo i segni della loro voglia intensa di conoscere, e di fornirgli strumenti adeguati per sperimentare che capire è sempre possibile quando si è motivati, e qualche volta è anche decisamente appassionante.

Il Gafo è disponibile con le idee e con il lavoro che ha fatto e continuerà a fare. Ma, se non dovesse trovare rispondenza nella volontà concreta di chi a Quinzano gestisce (o trascura) la cultura, sarà costretto suo malgrado a rivolgersi dove abbia possibilità di condividere progetti e azioni coerenti con gli scopi che si è dato. A quel punto Quinzano avrà perduto l’ennesima occasione.

E Francesco Gandino?

Ora il lettore si domanderà cosa c’entri la pagina antica pubblicata qui a fianco. Nulla, probabilmente. Abbiamo soltanto voluto accostare alle considerazioni di queste righe la testimonianza di un vecchio quinzanese, che nella sua vicenda biografica e familiare sembra incarnare quel modello di sensibilità civile e di impegno culturale che riteniamo offuscato oggi dal tempo, ma che dobbiamo necessariamente recuperare, se non vogliamo che il nostro paese sprofondi definitivamente nella dimenticanza.

Il protagonista della biografia (che pubblichiamo per cortese concessione del sig. Pierino Gandaglia, collaboratore sempre generoso e sensibile delle nostre iniziative) è il notaio che rogò i due contratti della Disciplina, di cui scrivemmo il mese scorso. Figlio del già noto notaio Scipione, e padre del medico Giovanni (che dettò il testo qui trascritto il giorno 16 maggio 1703), fu persona di cultura distinta, e frate domenicano mancato, perché la morte del fratello maggiore lo lasciò unico maschio a propagare il cognome di famiglia.

Seguendo passo passo la carriera di suo padre Scipione, divenne notaio, e quindi cancelliere del comune di Quinzano (segretario comunale) e delle principali confraternite. I suoi atti, conservati all’Archivio di Stato di Brescia, confermano che fu assiduo promotore di iniziative di arte e di cultura: suo figlio Giovanni ricorda in particolare la dotazione dell’altare di San Nicolò in San Faustino in seguito a un voto per avere pure lui un figlio maschio, e l’erezione di una santella mariana presso un fienile di sua proprietà (oggi cascina Sant'Ambrogio).

Senza dubbio il dato più interessante della breve biografia è quello relativo alla cultura musicale del notaio Gian Francesco e il suo notevole impegno per la realizzazione degli organi di San Faustino e di San Rocco: ma di questo argomento riparleremo più dettagliatamente un’altra volta.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. IV n° 30, aprile 1996, pp. 9-10)

Riferimenti documentari