Un saggio di ricerca sui Morti Abbandonati

morti abbandonati 01C’è ancora qualche ingenuo che si illude di potersi ritagliare il proprio angolino di mondo, dove vivere isolato e protetto dai contagi delle pestilenze che infestano le nostre società? Eppure anche questo ingenuo impenitente dovrebbe aver capito che non c’è barriera fisica capace di reggere di fronte alla volontà del pensiero umano di correre, di evadere da ogni limitazione. Era già così al tempo della pietra; e tanto più oggi, quando i trasporti e le comunicazioni scavalcano persino i confini dell’economia, che sembrerebbero i più pigri a consentire ai mutamenti.

Tutto quello che noi abbiamo, che siamo, ci viene dal di fuori: e non è certo sprangando le finestre che potremo eliminare il resto del mondo. Lo cancelleremo forse dal nostro ristretto orizzonte, dal nostro microscopico pensiero: perché le vere barriere sono quelle che fabbrichiamo dentro il nostro pensiero. Ma l’aria del mondo continuerà a infiltrarsi – per fortuna nostra – anche attraverso le persiane chiuse, e a consentirci di respirare e di vivere – per nostra fortuna – anche nostro malgrado.

Orizzonti della storia locale

Che c’entra questo con la storia locale, direte voi. C’entra per quanto storia vuol dire cultura, cioè ossigeno del pensiero; e per quanto ci si possa fraintendere quando si dice locale. Locale – si sa – vuol dire di un luogo: ma non è scontato che luogo significhi lo stesso sempre e per tutti. Ad esempio: è luogo l’Italia o la Padania (!); ma è luogo pure casa mia; e non è forse luogo il mondo intero? Dunque, quando si dice luogo si è detto tutto e non si è detto niente: c’è ancora da definire che cos’è luogo per chi parla e per chi ascolta. In quanto poi alla storia locale, la questione si complica ulteriormente, poiché entra in gioco anche la storia, che pure quella non è la stessa per tutti.

Dovremmo comunque provarci a darne una definizione, anche se sembra più facile definire ciò che non è. Dunque non è storia se non cerca rigorosamente e senza preconcetti le cause e le ragioni profonde di fenomeni ed eventi; e non è locale se non sa allargare con elasticità i suoi confini, accogliendo via via i luoghi e i tempi che aiutano a riconoscere quelle ragioni profonde.

Gli esempi che abbiamo sotto mano non ci aiutano, per la verità, ad acquistare fiducia nel valore culturale e civile della storia locale. Ci sono studiosi appassionati, che assomigliano più a collezionisti di figurine da incollare sull’album delle cianfrusaglie più o meno rare. Poi ci sono ricercatori tutti presi dalla smania di chiudere sotto chiave quanto hanno trovato, impedendone la conoscenza e la divulgazione tra la gente. Ci sono i vecchi parroci che aspirano a far l’apologia della fede d’una volta (e, se capita, non disprezzano di poter modestamente lasciare umile memoria anche del loro glorioso passaggio). E poi ci sono i dilettanti della penna, che solleticano di volta in volta il consenso dello sponsor o della comunità di turno.

Tutti nobilissimi mestieri, naturalmente. Peccato che non aiutino né a capire il senso del passato, né a salvarne la memoria, visto che per oggi ci pensano loro a salvarla, ma domani chi se ne prenderà cura, se non avranno fatto in modo che qualcuno ne comprenda l’autentico valore? 

Un piccolo contributo

Noi non ce la facciamo proprio a stare con le mani in mano. Abbiamo sentito che nei paesi dei dintorni c’erano altri che riflettevano su questi stessi problemi e condividevano punti di vista più aperti e intelligenti, e ci siamo trovati subito d’accordo su alcuni concetti semplici ma vitali.

  1. La storia locale non è patrimonio soltanto di chi la sa leggere o la sa scrivere: se mai occorre aiutare la gente più sensibile ad acquisire gli strumenti per capire e per diventare protagonista della rivalutazione della propria storia e della sua divulgazione a tutti.
  2. La storia locale esiste solo come complessità di relazioni tra i vari luoghi, più o meno legati da somiglianze e differenze, ma tutti debitori di tutti nel loro faticoso percorso più che millenario.
  3. I punti cardine della storia sono quegli stessi della cultura, dunque si deve cercare di curare tutti gli ambiti dove le comunità esprimono se stesse e la loro civiltà: dai monumenti all’ambiente, dall’arte al lavoro, alle tradizioni, dal passato al presente.
  4. Chi ha responsabilità di guida nelle nostre comunità non sempre ha qualità o interesse sufficienti per comprendere il proprio ruolo di custode e di progettista della storia: chi tra i cittadini è più sensibile non deve stancarsi di sorvegliare e stimolare.

Accorgersi di condividere questi pochi ma forti principi e decidere di concretizzarli in un progetto chiaro, proponibile a tutti, è stato tutt’uno. Così, dopo i mesi estivi passati a contattare persone, a tracciare alcune linee di orientamento e ad organizzare due o tre proposte di attività, insieme con amici di Verolanuova e di Verolavecchia il 30 settembre scorso abbiamo fondato il gruppo culturale Terra & Civiltà.

Per l’interessamento attivo del parroco di Verolavecchia don Pierino Boselli, prete di grande intelligenza e cultura – cosa certo non da poco, vista l’aria che tira altrove – l’associazione ha istituito la sua sede in una sala della casa parrocchiale di Verolavecchia, in piazza Paolo VI 2. Presidente è il geom. Armando Barbieri di Verolanuova, uno dei fautori più convinti ed entusiasti della ricerca coscienziosa e della divulgazione capillare; segretaria è la prof. Enrica De Angeli, pure di Verolanuova.

Il gruppo, che è di volontariato e senza scopo di lucro, raccoglie per il momento diverse persone di Quinzano, Verolanuova, Verolavecchia, e di altri paesi del circondario, e si occupa dei territori di provenienza dei soci. Ma lo statuto prevede la possibilità di adesione anche da parte di singoli e gruppi di altri comuni, che potranno consentire in futuro di estendere la zona di riferimento a tutta la Bassa bresciana centrale lungo l’Oglio.

La prima proposta di lavoro

Siamo ancora in fase di rodaggio, evidentemente, ma abbiamo già avviato fin dall’estate (come si diceva) alcune attività su diversi fronti. Per quanto concerne la ricerca documentaria, abbiamo visitato diversi archivi, e abbiamo cominciato uno spoglio sistematico dei documenti notarili dell’Archivio di Stato di Brescia. In vista dell’aggiornamento dei soci, stiamo svolgendo una sorta di "seminario di paleografia", ossia delle esercitazioni pratiche di lettura di manoscritti dei secoli XV-XVI, che teniamo ogni lunedì sera nella sede di Verolavecchia.

L’impresa più impegnativa, che ci sta occupando già da tempo, è la ricerca, mediante documenti ma soprattutto fotografie, interviste e rilievi tecnici, sulle santelle e le pitture murali sacre dei paesi di interesse del gruppo. Il nostro intento è di realizzare per la prossima primavera un catalogo dettagliato e una mostra di tutte le espressioni pubbliche della fede popolare che costellano il nostro territorio, e che in qualche caso sono in pericolo di sopravvivenza, se non già del tutto scomparse.

Da questa ricerca provengono anche le pagine storiche che pubblichiamo e illustriamo qui di seguito, come piccolo saggio del lavoro più vasto e completo che proporremo tra qualche mese ai nostri concittadini.

Le santelle e i documenti

Imbastire una ricerca documentaria sulle santelle o le pitture murali sacre di un territorio (non solo del nostro, s’intende), è impresa quasi disperata. Non per nulla la santella è sempre stata considerata proprietà di tutti e di nessuno; ciascuno degli abitanti della contrada la sentiva un po’ sua, e nel momento della buona o della cattiva sorte vi poneva un segno di sé, secondo le possibilità. La gente comune però non si preoccupa di lasciare documenti scritti di ciò che fa: la sua storia si costruisce con il racconto di bocca in bocca, con la tradizione orale; ma oggi la tradizione orale è pressoché scomparsa, lasciando solo un’esile traccia nei superstiti più anziani.

In ogni caso, è inutile sperare di scoprire testimonianze documentarie precise o sistematiche sulle nostre santelle. Talvolta, con una buona dose di fortuna, si riesce a trovare qualche scarna indicazione indiretta. Ad esempio, in un passo della cronaca del cinquecentesco vicario Pandolfo Nassino, a proposito dell’omicidio di una certa Agnes, si dice che l’assassino Alisandro Trapa «ge tolse li dinari, et poi la misse in uno sacho et la portó al fiume de Olio, et la butete dentro, al loco dove é la giesia de Sancto Silvestro, apresso la terra de Montesei [...], cum uno sasso messo al sacho, qual sasso fo tolto ala maystá de poffa lovera, loco de Quinzano». Una brutale faccenda di adùlteri e di ladri, da cui risulta che alla "Poffa lovera”, oggi "Falivera", esisteva già a quel tempo (1536-1541) una maystà, ossia una santella (cfr. Casanova, 1993). 

Anche una delle pagine pubblicate in questa rubrica nell’aprile scorso (L’Araldo, n. 30), la biografia del notaio Francesco Gandino, riportava la menzione di un edificio votivo realizzato in una sua proprietà dal protagonista, che «fece varij milioramenti [...], e specialmente al Fenile, una galante Capella ò Chiesetta piturata della incoronacione della Beata Vergine Maria del Angelo Custode, e molti altri Santi suoi Devoti, acciò preservino la Prole, Case et il Patrimonio suo».

Non siamo però ancora in grado di identificare con certezza quel Fienile e dunque di localizzare la santella della “Madonna, Angelo Custode e altri Santi” di cui si parla nel manoscritto. Analoga difficoltà nel reperire documenti si ha per i paesi limitrofi, dove pure non mancano labili indicazioni indirette in testamenti che dispongono la realizzazione di pitture murali, o in atti che citano una maystà (santella) come semplice riferimento topografico.

Un colpo di fortuna

L’unico caso, per ora, in cui le testimonianze archivistiche sono relativamente consistenti è quello dei “Morti Abbandonati” di Quinzano. Poiché era edificio voluto e costruito dal Comune, al Comune ne toccava la cura e la manutenzione, che almeno per il secolo XVII risultano di quando in quando negli atti dell’archivio pubblico. Inoltre alcune iscrizioni latine in terracotta murate ai lati dell’ingresso contribuiscono a ricostruire almeno in parte alcune vicende della cappelletta.

Esiste, a dire il vero, in una ricerca di qualche anno fa (Demicheli, 1988), un riferimento al manoscritto del medico Gandino, che i lettori conoscono bene, essendo una delle nostre principali fonti di informazione. Invero il rimando è approssimativo, e non siamo riusciti a individuare il testo sul manoscritto di proprietà del sig. Pierino Gandaglia. Del resto le presunte notizie riprese dal Gandino non sono altro che rielaborazioni indotte dalla lettura di due delle iscrizioni latine, che il medicocronista riporta incomplete e scorrette.

In sostanza si afferma che, in seguito alla guerra, alla carestia e soprattutto alla peste del 1630, per devozione e ringraziamento dei superstiti, nel luogo dove erano stati sepolti gli appestati fu edificata nel 1633 una santella dedicata alla "Madonna, Sant’Anna, Sant’Antonio di Padova e alla Beata Stefana Quinzani": i santi ai quali la comunità quinzanese si era rivolta in quell’occasione tragica e dai quali aveva ricevuto la grazia di essere almeno in parte preservata dalle calamità.

Ora, sulla fondazione della santella abbiamo anche noi la stessa fonte di cui disponeva il cronista Gandino (nato nel 1645, cioè ben dopo i fatti che racconta): l’iscrizione latina sul “quadrello bislongo”, oggi murato sulla sinistra dell’ingresso. Il testo, in versi di buon latino un poco aulico (distici elegiaci), è qui pubblicato per la prima volta nella sua forma corretta e completa. Diamo la traduzione dei versi, dal Gandino attribuiti ai colti sacerdoti fratelli Manenti:

QVI FAME, QVI BELLO, QVI TANDEM A PESTE FVERE
AEDICVLAM GRATI HANC COMPOSVERE DEO.
AC MEMORES CARORVM, QVORVM HIC OSSA [quiescunt]
HAC PIETATE COLVNT, QVoS COLVERE [pr]IVS.
MILLE, ET SEXCENTENO, TERDENO, ATQ(ue) [teru]NO
VRBANO OCT[avo] MVNVS AGENTE PETRI
1633

"Coloro che alla fame, alla guerra e infine alla peste sono scampati, riconoscenti hanno edificato questa santella in onore di Dio; e ricordando i loro cari, le cui ossa qui riposano, onorano con questo atto di pietà coloro che da vivi hanno onorato. Nell’anno 1633, sotto il pontificato di Urbano VIII".

La seconda notizia ripresa dal Gandino è tratta da un’altra iscrizione latina in cotto, collocata sopra la precedente, che significa:

AVITÆ RELIGIONI
QUOD TEMPORIS INIURIA ADEMIT
PRÆSENS ÆTAS FVNDITVS REDEMIT
M(ense). IVL(io). A(nno). D(omi)NI MDCXCIX
ET INNOCENTII XII P(ontificis). M(aximi). A(nno) I[x]

"Ciò che alla devozione degli antenati l’ingiuria del tempo ha sottratto, l’età presente ha restituito dalle fondamenta. Nel mese di luglio dell’anno del Signore 1699, nono del pontificato di Innocenzo XII".

Il Gandino invero aggiunge che la cappelletta fu riedificata integralmente in un luogo non lontano dalla prima, con una struttura architettonica più dignitosa e stabile: e dovremo credergli, visto che in quell’epoca egli aveva 54 anni. Inoltre aggiunge che il mattone con la vecchia iscrizione fu salvato dalla santella precedente e murato nella nuova, come infatti è stato. Tuttavia il nostro bravo cronista dimentica di accennare ad alcune vicende, che ci sono rese note da atti comunali del 1661.

I documenti del Comune

Il 9 gennaio di quell’anno, in effetti, il consiglio speciale assume la seguente deliberazione (Qz-AC: reg. 12, Atti del Consiglio 1627-1662, c. 377r): «Vedendo che la Santella dove erano sepolti li morti in tempo di peste li anni 1629 et 1630 e ruinata perció va parte chi vole sia regolata, et in quella fatto dipingere l’Imagine della Madonna, di Santa Anna et di Santo Antonio di Padova, et datta auttoritá alli Sindici di far fare detta opera metti il suo voto in bianca, et a chi no nella negra. la parte hà ottenuto à tutti balle et ita etc

Come si vede, si decide all’unanimità di procedere al restauro e alla decorazione della santella «dove erano sepolti li morti in tempo di peste li anni 1629 et 1630», poiché «è ruinata»: cioè – sembra di capire – è completamente distrutta, non esiste più. Ai sindici (rappresentanti legali del Comune) si dà quindi incarico di ricostruirla e farvi «dipingere l’Imagine della Madonna di Santa Anna, et di Santo Antonio di Padova». Come si vede, qui non si parla della Beata Stefana.

Il 3 marzo successivo la santella è già stata rifatta, e in essa sono state dipinte le immagini dei santi, a spese del Comune; ma emerge un altro problema piuttosto serio, forse lo stesso che aveva determinato il degrado dell’edificio negli anni prece-denti (Qz-AC: reg. 12, c. 382r): «Essendo stà rinovata la fabrica della Santella dove erano sepolti li morti al tempo della peste l’anno 1630, et in quella fatto dipingere fugure [!] della Madonna et altri santi a spese della Comunitá, et acció per avenire non siano guaste le dette pitture overo la copertura anco dalli figuri perció va parte chi vole sia levato ordine dal molto Illustre signor Vicario Loco Tenente della pena de lire cinque planet d’esser levata a quelle persone che saranno ritrovati à guastar dette figure o la copertura et detta pena sia applicata à beneficio dell’altare di Santa Anna a chi la piace metti il suo voto in bianca et a chi nò nella negra. la parte hà ottenuto con balle affirmative numero 24 negative 3 et ita etc.»

Gli amministratori pubblici sono preoccupati che «per avenire non siano guaste [=guastate, rovinate] le dette pitture overo la copertura anco dalli figuri». E per dissuadere i malintenzionati, affidano al vicario luogotenente (il funzionario governativo locale) l’autorità di comminare multe fino a 5 lire planet «a quelle persone che saranno ritrovati à guastar dette figure o la copertura», devolvendo le somme ricavate all’altare civico di Sant’Anna nella chiesa parrocchiale, eretto anch’esso in seguito alla peste del 1630. Se per «copertura dalli figuri» si intende il tetto, è un’espressione davvero strana; a meno che non si tratti di una semplice tettoia, posta a protezione di una parete unica, sulla quale campeggiavano le immagini della Madonna e dei santi protettori del paese. Una modesta edicola del tipo di quella, ad esempio, di San Carlo in Monticelli, oggi peraltro in condizioni di stabilità assai precarie.

Le dimensioni erano dunque molto ridotte e non c’erano ancora le pareti laterali: ciò spiegherebbe la rapidità dei lavori di restauro e di decorazione, e ben si accorderebbe con l’indicazione del Gandino circa la riedificazione della cappella in altra sede alla fine del secolo.

Il pittore Bellanda

Per il resto, abbiamo anche scoperto chi fu il pittore incaricato delle decorazioni. In un registro del comune (Qz-AC: n. 16, Registro Cassa 1649-1673, c. 149v) nel marzo 1661 è riportata questa causale di pagamento: il massaro comunale «Deve havere altre lire trei soldi dieci planet per perdita sopra sopra [!] some due mestura datta al Belanda pittore a Berlingotti quindeci la Soma et posta in suo debito a pretio de Berlingotti dieci otto la soma £ 3 s 10»

Nient’altro sapremmo sul negozio in questione, se non ricomparisse, nella pagina successiva (c. 150r), lo stesso pittore, con qualche dettaglio in più: «Deve havere il detto Trappa [tesoriere] lire quaranta sette soldi treij planet conti a Don Gioseffo Belanda Pittore per sua mercede in haver depinto la Santella al loco dove erano sepolti li morti al tempo della peste l’anno 1630 per boletta 4 Aprile 1661 £ 47 s 3».

Si tratta dunque della decorazione della santella dei Morti della peste, commissionata al pittore Giuseppe Bellanda. Per qualche lettore assiduo il cognome Bellanda (o Belanda) non risulterà del tutto nuovo, visto che Andrea Bellanda si chiamava il pittore che aveva realizzato gli affreschi ben più impegnativi della chiesa della Disciplina quinzanese negli anni 1645-46 (L’Araldo, n. 29, marzo 1996). Una bottega familiare di pittori e decoratori popolari, di cui fino ad oggi non si avevano, per quel che ci risulta, altre notizie.

“Morti Abbandonati”

Sulle vicende successive della nostra santella non abbiamo altre informazioni, se non quelle già citate in precedenza. Verso la fine del secolo XVII la piccola edicola dovette essere di nuovo massacrata dai vandali, dalle intemperie o dall’incuria. A quel punto i quinzanesi si diedero da fare per realizzare un edificio più solido, elegante e sicuro, che è quello che ancor oggi ci rimane.

In realtà al luglio del 1699 rimanda anche un’altra lunga iscrizione in cotto, interamente inedita, alla quale non fa cenno neppure il minuzioso Gandino. È murata sul fianco destro dell’ingresso e, in distici latini assai meno limpidi e corretti di quelli del 1633, dice:

ÆTERNÆ RELIGIONI PATRIÆ
ET INSPICIENTIBVS
DVLCIQ[ue] CQ(uo)D EDAX PATRIÆ IAM TE(m)PVS ADEMIT
HOC AB AVIS REDIMIT FVNDITVS OMNE SU[is]
INSONS BISSENVS TRIREGNV(m) SEDE TENEBAT
IMPERIIQVE SUI TVNC PRIOR A(n)NVS ER[at]
MILLE ET SEXCE(n)TENO NO(n)AGINTAQ(ue) NONO
SCIRE SIVIS MENSEM IVLIVS ILLE FV[it]
QVISQVIS ES OH LECTOR VEL TV DEVOTE VIATOR
PRO HIS TVA DEFVNCTIS CARMINA PSALLE DIIS
SIVE LEGAS STVDEAS SENSVS ET CORDA MINISTRA[nt]
ES GRADIENS REDIENS SVNT ITER ET RED[it]V[s]
QVODLIBET INCEPTVM POTIORI SORTE REPLEBV[nt]
NAMQVE PEDES DVCVNT ET PERAGENDA DOCEN[t]

"Ciò che ormai il tempo divoratore ha sottratto alla perenne devozione dei padri e ai visitatori e alla dolce patria, ciò interamente restituisce dalle fondamenta, dagli avi a loro spese (?). Innocenzo XII reggeva il triregno, ed era il primo anno del suo pontificato, nel 1699; se vuoi sapere il mese, era luglio. Chiunque tu sia, lettore, o tu devoto passante, per questi morti intona le tue preghiere ai santi: che tu legga o studi, essi guidano i sensi e il cuore; se stai viaggiando o ritornando, essi sono il viaggio e il ritorno; a qualunque impresa essi concederanno il miglior esito: infatti essi guidano i passi e insegnano cosa fare".

Curioso il fatto che il 1699 era non il primo, bensì il nono anno del pontificato di Innocenzo XII (1691-1700). Credo che l’equivoco possa essere nato dalla lettura incompleta della seconda iscrizione, che (come appare nella trascrizione) è priva dell’ultima cifra, per cui il “IX” sembra un “I”. Si può desumere quindi che chi compose la terza iscrizione lo fece diversi anni dopo la riedificazione della santella e trasse i dati storici dall’iscrizione del 1699, già parzialmente rovinata.

Un’ultima ipotesi circa il titolo della cappella. In tutti i documenti che abbiamo riportato è denominata «la santella dove erano sepolti li morti al tempo della peste l’anno 1630»: morti, dunque, tutt’altro che abbandonati, se il Comune stesso aveva prontamente posto mano alla realizzazione dell’edificio e alla sua decorazione. Che l’epiteto di “Morti Abbandonati” (“Mórcc Bandunàcc” per la gente) sia dovuto al fatto che per ben due volte nel giro di 66 anni (1633-1699) l’edicola fu completamente distrutta da disinteresse o dolo e dovette essere, per due volte almeno, interamente rifatta? Come dire: i morti il cui ricordo non importa niente ai posteri. Se fosse così, il nome affibbiatole dalla storia dovrebbe essere un monito anche per noi e per la nostra incuria.

Ecco dunque un saggio del lavoro di ricerca che la nuova associazione Terra & Civiltà sta approntando a riscoperta della cultura storica nei nostri paesi, che sono ricchi di vicende comuni più di quanto possiamo immaginare. Chi condividesse con noi la curiosità della ricerca, la volontà di approfondire il nostro passato comune e la convinzione che questa cultura e questa conoscenza vanno diffuse il più possibile tra la nostra gente, può rivolgersi a noi per chiedere chiarimenti e magari per aderire alla nuova associazione o alle sue iniziative. Abbiamo bisogno di persone che capiscono e che hanno voglia di fare qualcosa; anzi è la nostra terra che non può farne a meno.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. 4 n. 35, ottobre 1996, pp. 7-8)

Riferimenti bibliografici

  • Casanova, Tommaso, (a cura di), 1993
    Frammenti di una terra. Il paese di Quinzano intorno al 1540 negli appunti di Pandolfo Nassino e nella relazione di Annibale Grisonio, (‘I Quaderni del Castello’, 2), Quinzano, GAFO-Quinzano
  • Demicheli, Massimo, 1989
    La “Santella” dei Morti Abbandonati, Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Corso di Disegno e rilievo, dattiloscritto
  • Gandino, Giovanni,
    Alveario cronologico, ms di proprietà del sig. Pierino Gandaglia