I quadri quinzanesi del pittore Ferdinando Cairo

s rocco saverio 01Nell’articolo del mese scorso ci eravamo congedati, un po’ seccamente a dire il vero, in presenza di un santo e di un dilemma: il santo era san Francesco Saverio; il dilemma era a quale dei due quadri quinzanesi che lo raffigurano alludesse il cronista Giovanni Gandino nella biografia dell’arciprete Capello. Ma forse conviene riprendere brevemente l’argomento.

Il quadro di padre Gariglio

Il medico Giovanni Gandino (1645-1720), nei suoi appunti sulla vita e le opere di don Giovanni Capello (1629-1712), arciprete di Quinzano dal 1658 alla morte (Alveario, pp. 355-359; Giardino, pp. 142-147), accenna tra l’altro a una «pala effigiata in pitura di San Francesco Xaverio fatta con il dono del provento del suo Quadragesimale qui [cioè a Quinzano] fatto dal Padre Pavolo Andrea Gariglio Gesuita, celebre predicatore», omettendo però di indicare la collocazione e la data del dipinto. Locatelli, che per primo aveva pubblicato questa nota (1989), ne aveva frettolosamente desunto che si trattasse del quadro di san Francesco Saverio nella chiesa parrocchiale (primo altare a sinistra), che il committente fosse l’arciprete Capello, e che questi si facesse ritrarre fra i personaggi della folla; fraintendendo poi il termine «quadragesimale», ne tentava una attribuzione cronologica agli anni intorno al 1698.

Nel nostro contributo di marzo (Casanova 1997.03) ci eravamo permessi di rileggere con un po’ di attenzione le parole del Gandino, e ne avevamo tratto alcune deduzioni, in parte evidenti, in parte ancora piuttosto problematiche. Di certo il biografo non chiama in causa espressamente l’arciprete Capello nella commissione dell’opera, bensì il predicatore gesuita padre Paolo Andrea Gariglio, che destinò allo scopo il compenso del quaresimale da lui tenuto a Quinzano in un anno imprecisato. A questo punto, l’unica certezza su cui si possa contare è che la nota del Gandino fu stilata il 27 dicembre 1702 (o 1701): prima di quella data, dunque, deve per forza essere stato realizzato il quadro in questione.

Se è dubbia la data, non meno lo è l’identificazione dell’oggetto, visto che – come s’è detto sopra e come tutti i quinzanesi certamente sanno – a Quinzano sono due le tele raffiguranti il santo apostolo delle Indie: una nella chiesa parrocchiale, appunto, e l’altra in San Rocco (prima campata a sinistra).

La pala in San Rocco

La questione – lo dicevamo già il mese scorso – si propone come un rebus piuttosto complicato; e tuttavia, come tutti i problemi complessi, stimola a riflettere e ricercare. Prima di trarre una qualsiasi conclusione, proviamo dunque a prendere in esame ciascuno dei due dipinti.

Della tela di San Rocco non abbiamo, al momento, nessun dato documentario diretto. Un paio di indizi utili ce li fornisce però il quadro stesso (cfr. Locatelli 1990a): nell’angolo in basso a destra, alla portata di qualunque osservatore, figura in un ovale lo stemma della famiglia Zopetti; al di sotto non compaiono firma d’autore né data, ma la scritta:

PATRONIS SUIS R(everendus) D(ominus) IO(annes) PETRUS ZOPETTI I(uris) U(triusque) D(octor).

che significa «Ai suoi santi patroni, il reverendo don Giovanni Pietro Zopetti, dottore di entrambe le leggi (diritto canonico e civile)». E, in effetti, il quadro rappresenta in primo piano san Francesco Saverio che sbarca tra i pagani delle Indie, mentre in cielo sant’Antonio di Padova adora il Bambino Gesù tra le braccia della Madonna: sono questi dunque i santi protettori del committente. Anche la bella cornice offre un indizio prezioso per le nostre deduzioni: sulla sommità un grande clipeo blu recita la sigla

Ad · M · D · G

che non è, come candidamente interpreta Locatelli, «la data 1700 con la doppia C indicata artificiosamente come G», ma bensì la nota abbreviazione del motto «Ad Maiorem Dei Gloriam», «a maggior gloria di Dio», che sintetizza il senso della spiritualità e dell’attività apostolica dei gesuiti. È dunque un legame, per quanto tenue, con le indicazioni del Gandino, che connetteva il quadro di san Francesco Saverio (un santo gesuita) all’iniziativa artistica di un religioso di quella Compagnia.

La tela in San Faustino

s faustino saverio 04La pala della parrocchiale, per parte sua, non ci offre nessun appiglio interno: non vi sono stemmi, o scritte, o firme di sorta. In compenso, però, il nostro fido Gandino, come niente fosse, ci spiattella in un angolino del suo manoscritto una bella rivelazione. Siamo sul verso di un foglio aggiunto dopo la pagina 466 dell’Alveario cronologico, nell’ambito della biografia di un nipote del cronista, figlio di suo fratello Scipione Gian Battista: il prete don Gian Francesco Gandino. Costui, dopo una carriera ecclesiastica non propriamente brillantissima, si ritrova a essere curato suffraganeo (vice curato) di Quinzano; quindi, dopo la morte dell’arciprete Capello avvenuta il 14 aprile 1712, viene dal vescovo nominato Economo Spirituale (sostituto del parroco in sede vacante), fino all’ingresso del nuovo arciprete don Giovanni Paolo Carlesco il 13 dicembre successivo.

Ecco il passo che ci interessa: «É dá soggiongersi di piú havere il medemo nostro Nipote hauta la gloria nel tempo della sua Ecconomia di benedire questa Pala dell’Apostolo dell’Indie Santo Francesco Xaverio posta in questa Parochiale, seguita il dí 3 xbre 1712 con la licenza di Monsignor Viccario Generale Soncino; da notarsi pitturata dall’eccelente mano del Signor Ferdinando Cairo Bolognese habitante in Brescia».

Il prete Gian Francesco Gandino, dunque, nella sua veste di Economo Spirituale («nel tempo della sua Ecconomia») e su incarico del vicario vescovile, ebbe l’onore di inaugurare la pala di san Francesco Saverio nella parrocchiale di Quinzanoquesta» vuol dire di qui, del paese) il 3 dicembre 1712. La noticina aggiunta ci rivela, di passaggio, anche il nome dell’autore del quadro: il pittore originario bolognese Ferdinando Cairo, residente allora in Brescia.

Il pittore Ferdinando Cairo

Qui correrebbe l’obbligo di fare un cenno all’artista, chiamato per il solito Ferdinando Del Cairo (come nella Storia di Brescia, vol. 3, pp. 634-35; e nella Enciclopedia Bresciana di don Antonio Fappani, vol. 3, p. 131, che lo elencano alla lettera D). Tutta qui, almeno a nostra conoscenza, la bibliografia sul pittore, nato a Casale Monferrato nel 1666, formatosi nell’ambiente artistico bolognese, e operoso, insieme ad altri emiliani, pare soprattutto a Brescia tra il 1700 e la morte nel 1743. Della fitta produzione che gli si attribuiva in passato, nelle chiese cittadine di Sant’Antonio, San Domenico, Santa Giulia, le Grazie e altre, non resterebbero che pochi affreschi nella cupola della Carità e la pala delle "Sante Caterina da Bologna e Margherita da Cortona" in San Giuseppe, oltre ad alcune figure femminili nella pinacoteca Tosio-Martinengo, di paternità però non accertata. Il fulmineo appunto del Gandino, pertanto, aggiunge un tassello prezioso alla conoscenza di una personalità artistica non secondaria nel panorama bresciano del secolo XVIII. Ma c’è dell’altro.

Prima però di introdurre nuove informazioni, occorre fissare un momento l’attenzione sulla data e la circostanza in cui, a dire del cronista, il quadro venne inaugurato: il 3 dicembre 1712, memoria di san Francesco Saverio appunto, non dal parroco ma dal suo sostituto in sede vacante, dieci giorni prima dell’ingresso del nuovo arciprete. È pur vero che, in linea di principio, una pala d’altare può venir benedetta anche molto tempo dopo essere stata realizzata; ma non si vedrebbe la ragione per cui dover differire un atto così solenne nel breve spazio di una Economia Spirituale (quella in causa durò, come s’è detto, dal 14 aprile al 13 dicembre 1712). Si può forse dubitare che l’intraprendente arciprete Capello rinunciasse così facilmente, magari per anni, a un atto liturgico che avrebbe contribuito a dargli gloria, come ne diede al reggente don Gian Francesco Gandino, che pure non era nemmeno curato? In ogni caso, abbiamo già dimostrato sopra che il quadro di san Francesco Saverio in San Rocco, che vide la luce durante il servizio del Capello, non può essere posteriore al dicembre del 1702.

Quindi non ci sono molte possibilità. O si immagina (come Locatelli 1989) che la pala in San Faustino sia proprio quella commissionata dal Gariglio, e allora bisogna dedurre che la benedizione dell’opera sopravvenne una dozzina d’anni dopo la sua realizzazione. Oppure ci si accontenta di pensare che il quadro sia stato dipinto e inaugurato in un lasso di tempo relativamente breve, non più di un anno, e allora non si può non concludere che il san Francesco Saverio del quaresimalista gesuita deve essere un altro: quello conservato in San Rocco, evidentemente.

Le due tele a confronto

A questo punto è il caso di mettere a confronto diretto i due dipinti. Mi rendo conto che ragionarci sopra così, senza disporre delle immagini, è alquanto arduo; eppure a Quinzano, con tutte le opere d’arte che arricchiscono le nostre chiese, non esiste ancora una pubblicazione seria che ne raccolga le riproduzioni e gli studi critici fatti o da farsi su di esse, come hanno invece provveduto a pubblicare molti paesi dei dintorni, pur meno ricchi e dotati del nostro.

Polemiche a parte, i caratteri che colpiscono subito nei due quadri (parlo naturalmente da profano di storia dell’arte) sono i volti del santo e di uno dei personaggi in secondo piano. Il santo, pur in atteggiamenti ed espressioni un po’ differenti, presenta nelle due immagini tratti somatici assai simili: stessa capigliatura, stessa barba, stesso naso dolcemente pronunciato, persino la stessa inclinazione di tre quarti, la stessa ombreggiatura del volto. La somiglianza è tale che i due quadri, visti uno accanto all’altro, sembrano la rappresentazione di due episodi susseguenti senza soluzione di continuità: lo sbarco del missionario in India (quadro in San Rocco) e la sua prima predica ai pagani (quadro in San Faustino).

Il secondo particolare, che colpisce forse ancor più del primo, è la presenza in entrambi i dipinti di un personaggio un po’ defilato tra la folla degli uditori (sempre il terzo da destra). Locatelli, sulla base delle argomentazioni già discusse, dice di riconoscere nel volto della pala in San Faustino il ritratto del presunto committente: l’arciprete Capello. Questi però era morto all’età di 82 anni poco prima della inaugurazione del dipinto, mentre il ritratto di cui stiamo ragionando non dimostra certo quella veneranda età.

D’altra parte, lo stesso Locatelli (1990a) individua anche nel volto della pala di San Rocco il rispettivo committente di quell’opera, che nel caso – come si diceva sopra – è confermato dall’iscrizione sotto lo stemma di famiglia: si tratta, infatti, di don Gian Pietro Zopetti, e su questa identificazione non c’è ragione di dubitare.

L’osservazione che emerge dal confronto fra i due quadri è la decisa analogia esistente anche tra questi due ritratti: la calvizie avanzata, il naso fortemente aquilino, le labbra contratte, il mento arrotondato. Pare di vedere due riproduzioni del medesimo volto a dieci o quindici anni di distanza: più giovanile nella pala di San Rocco; più maturo in quella di San Faustino.

Due ritratti, un committente

Ora, credo che la conclusione sia abbastanza ovvia anche per il lettore. Il ritratto del dipinto in San Rocco è certamente quello del committente don Gian Pietro Zopetti, mentre il volto della pala in San Faustino si può presumere che sia del medesimo personaggio due o tre lustri dopo. Ciò lascia intendere che entrambi i quadri sul medesimo soggetto furono commissionati dallo Zopetti, di certo allo stesso pittore Ferdinando Cairo, a una dozzina d'anni di distanza l’uno dall’altro. Dal momento che il quadro in San Faustino è certamente databile al 1712, possiamo ritenere verosimile che quello in San Rocco risalga a prima del 1702. Se poi questo dipinto apparteiene veramente – come andrebbe verificato da esperti – al Cairo, oltre a costituire una ulteriore acquisizione al catalogo del pittore bolognese, rappresenterebbe una delle sue prime opere in terra bresciana, anzi una delle prime in assoluto.

Tutto sembra, dunque, appianarsi. Ma ancora un dubbio rimane aperto: il san Francesco Saverio anteriore al 1702 non era stato finanziato dal quaresimalista Gariglio? E come può allora identificarsi con il quadro in San Rocco, che è dichiaratamente dedicato da don Gian Pietro Zopetti con tanto di firma e blasone?

Qui siamo abbandonati purtroppo nel campo delle pure illazioni, almeno fintanto che non emergano documenti più espliciti di quelli che abbiamo. Per quel che vale, potremmo pensare che il contributo per la predicazione fosse stato pattuito dal prete Zopetti, il quale (come si legge nella sua biografia del solito Gandino, Alveario, pp. 331-335) aveva compiuto i suoi studi presso i gesuiti di Brescia, e dunque era in contatto e forse in amicizia con i migliori predicatori della Compagnia di Gesù. In questo caso, la rinuncia al compenso da parte di padre Gariglio sarebbe stata concordata con lo Zopetti, che avrebbe apposto il proprio nome sul quadro e reso insieme omaggio al predicatore gesuita nella sigla «Ad maiorem Dei gloriam» dipinta sulla cimasa della cornice. Ma è meglio non correre troppo oltre con le ricostruzioni puramente indiziarie. Di fatto, il perno della complessa vicenda sembra essere appunto quel don Gian Pietro Zopetti (1654-1738) il cui ritratto presente nelle due tele (rispettivamente a 47 e a 58 anni di età) ne manifesta con evidenza la parentela.

L’altare dell’Angelo Custode

s rocco angelo 01Non abbiamo ora lo spazio per approfondire la storia della intensa vita di quel prete, dotto studioso di liturgia, letteratura, filosofia e diritto, maestro di scuola per dieci anni (1683-1693) a Verola Alghisi (Verolanuova); rettore della parrocchia di Roccafranca (1693-1715); poi ancora arciprete a Gabbiano (1715-1722), e infine pensionato a Quinzano fino alla morte (1738). Rimandiamo per questo il lettore alla dettagliata trattazione del Gandino, datata 5 settembre 1715, e al libro di Locatelli (1990b), per le notizie posteriori.

Ma le sorprese non sono ancora finite. Il biografo Gandino, come sua abitudine, soggionge al termine della narrazione (p. 335) un appunto di grande interesse, rivelando che il colto sacerdote don Zopetti eresse a sue spese nella chiesa quinzanese di San Rocco l’altare dell’Angelo Custode. La descrizione del nuovo altare fatta dal Gandino è assolutamente fedele, come può constatare chiunque visiti oggi la chiesa (è il secondo altare a destra). La soasa (cornice) è un fuoco d’artificio di foglie d’acanto nel più schietto stile barocco; l’altare mostra un pregevole paliotto (parapetto) a intarsi di marmi colorati, che raffigurano sui lati per due volte lo stemma (arma) della famiglia Zopetti, come quello che compare nel quadro di san Francesco Saverio. L’altare, in effetti, fu realizzato nel 1715, come dichiara un’epigrafe di marmo nero a caratteri dorati posta sull’intradosso sinistro del nicchione:

SANCTIS
CUSTODIBUS ANGELIS
ARAM OBSEQVIJ ARRHAM
DEVOTA FAMILIA
ZOPETTI
EREXIT, ET OBTULIT
ANNO MDCCXV

«Ai santi Angeli Custodi, questo altare, pegno di venerazione, la devota famiglia Zopetti eresse e offrì nel 1715», forse dopo il settembre, dal momento che il Gandino non ne parla se non in appendice alle sue note.

La notizia più importante, tuttavia, è senz’altro quella relativa alla «pittura di mano del Signor Ferdinando Cairo Bolognese habitante in Brescia». Dunque, anche la pala dell’Angelo Custode è opera di Ferdinando Cairo, che doveva essere il pittore di fiducia del prete Gian Pietro Zopetti, visto che allo stesso artista egli aveva commissionato nel 1710 un sant’Antonio di Padova per l’omonima chiesa in Roccafranca (cfr. Locatelli 1990b, p. 51).

La pala dell’Angelo in Quinzano reca anch’essa nell’angolo in basso a destra uno stemma di famiglia degli Zopetti, una scritta e una data (cfr. Fusari 1987):

R(everendus) D(ominus) STEPHANUS ZOPETTI
ANGELO SUO D(ono) D(edit)
1718

«Il reverendo don Stefano Zopetti (fratello di don Gian Pietro) offrì in dono al suo Angelo, 1718».

E con questa iscrizione, che conferma i dati offerti dal cronista, è fissata una data precisa per un altro lavoro di Ferdinando Cairo, pittore bresciano-bolognese, di cui si erano perdute molte tracce, mentre oggi a Quinzano possiamo riconoscerne d’un colpo tre belle e inedite opere.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. V n° 41, aprile 1997, pp. 9-10, con aggiornamenti)

Riferimenti documentari e bibliografici

  • Giovanni Gandino, Biografia di Giovanni Capello, arcipreteAlveario cronologico, pp. 355-359; Giardino de letterati di Quinzano, pp. 142-147
  • Giovanni Gandino, Biografia di Gian Pietro Zopetto, sacerdoteAlveario cronologico, pp. 331-335

  • Fusari, Giuseppe, 1987
    “L'Angelo Custode”, La Pieve, a. XVI n° 1, gennaio 1987, p. 20
  • Locatelli, Angelo, 1989
    “Il quadro di S. Francesco Saverio nella Parrocchiale”, La Pieve, a. XVIII n° 8, p. 22
  • Locatelli, Angelo, 1990a
    “S. Francesco Saverio sbarca in terra di missione. Un quadro in S. Rocco”, La Pieve, a. XIX n° 8, ottobre 1990, p. 23
  • Locatelli, Angelo, 1990b
    Roccafranca 1695-1990. Tre santi, una tradizione, Roccafranca, Gruppo culturale-ricreativo Oratorio di Roccafranca, pp. 154