Tema e variazioni per un campanile

s rocco facciata 1Sembrerebbe ovvio parlare di musica per un campanile, se si pensa alle campane, che rappresentano un suono così caratteristico della nostra civiltà padana.

Ma se pensiamo alla torre di San Rocco a Quinzano, allora potrei azzardarmi ad affermare che la musica non proviene solo dal riverbero nell'aria dei rintocchi delle sue campane, ma appartiene al progetto stesso della sua struttura architettonica e delle sue decorazioni.

Conosciamo con certezza l'epoca della sua realizzazione, tra il 1600 e il 1603, e il suo progettista, Nicolò Alberghino (o Albrighini) da Lavena Ponte Tresa (oggi in provincia di Varese), che le fonti coeve definiscono modestamente latomo (scalpellino, tagliapietre), ma che aveva tutte le qualità e la cultura dell'ingegnere e dell'architetto, come attesta la sua opera. E, come accadeva per tutte le persone colte di quel tempo, doveva avere anche competenze o sensibilità musicali, poiché la torre di San Rocco, certo il suo capolavoro, pare proprio composta come un brano di musica barocca.

Il monumento ha uno schema formale compatto e ritmico, costituito da una serie di piani simili ma sempre diversi: alla base i moduli sono lisci e differenziati in altezza, come per creare una distensione prima di una tensione, quasi un preludio improvvisato in cui l'artista saggia l'accordatura del suo strumento e solletica l'orecchio ai suoi ascoltatori. Nel terzo ordine viene disegnato un modulo più dettagliato: una cornice composita e articolata che sorregge un riquadro di due archi ciechi ritmati da tre lesene e coronati da un fregio conforme ai canoni dell'architettura classica e rinascimentale, quasi a voler fissare le note di un basso, che d'ora in poi sarà il motivo ricorrente sullo sfondo delle susseguenti fantasie: è ciò che nella musica di allora si chiamava il bordone (o il basso ostinato), ossessivamente replicato dal bravo musico, per ricamarvi sopra ad ogni ritorno variazioni nuove e insolite della sua melodia.

E infatti anche il nostro architetto, sullo schema saldo di questa grafica ostinata di sfondo, scandisce sulla superficie dei quattro registri superiori variazioni sempre più bizzarre e fantasiose, passando dallo stile tuscanico ora meno ora più complesso a quello ionico e corinzio degli archi, come fossero le combinazioni dei registri di un organo, e giocando di aggiunte e sottrazioni nell'elaborare con accurato virtuosismo le cornici, come l'organista si divertirebbe a sottrarre e moltiplicare i flussi di note sulla tastiera (aumentazioni e diminuzioni) attorno alla linea sempre riconoscibile del basso principale.

Questo raffinato divertimento intellettuale ed emotivo, che mette in competizione dialettica gli opposti: uguaglianza e differenza, ripetitività e variazione, rigore metodico e fantasia inventiva, in musica era tecnica consueta: le variazioni su basso ostinato; prendeva il nome di due diffuse danze d'origine iberica: la ciaccona e la passacaglia; e vantava persino un "tormentone" di gran moda dal secondo '500 fino a tutto il '700; la cosiddetta "Folìa de España", nella quale non ci fu compositore grande o piccolo che non si volesse cimentare.

Credo proprio che la torre di San Rocco a Quinzano si possa davvero interpretare come la geniale "follia di Spagna" architettonica e decorativa del nostro paese.

tc (ottobre 2015)

Riferimenti bibliografici

Sul campanile di San Rocco la bibliografia – per quanto ne so – si limita a mezza pagina a firma di Adriano Peroni nella Storia di Brescia della fondazione Treccani e Morcelliana (vol. 2, 1963, pp. 882-883).

Silenzio totale, invece, sulla figura dell'architetto-capomastro comasco Nicolò Alberghino, se si escludono i documenti quinzanesi, da cui risulta autore nel 1600-1603 del campanile di San Rocco, e negli anni successivi 1604-1607 di quello della chiesa di San Faustino, mentre il Pizzoni 1640, Historia di Quinzano Castelo del territorio di Brescia, lo dice costruttore di altri edifici, importanti ma imprecisati, nel paese di Quinzano, oggi probabilmente perduti.

Chi volesse conoscere ciò che del nostro eccellente costruttore emerge dai non molti documenti quinzanesi, può attingere al seguente saggio:

• Casanova, Tommaso, 2009, "Nicolò Alberghino da Lavena architetto a Quinzano", Civiltà Bresciana, a. 18, n. 1-2, pp. 93-153.