L’attività di Luca Mombello in Quinzano

Vedo sull’ultimo numero del bollettino parrocchiale La Pieve (gennaio 1997) riproduzioni a colori di quadri della nostra chiesa parrocchiale. Disordine di qualche didascalia a parte, imputabile alla stampa, vedo che la pala coi disciplini, oggi appesa sopra la cantoria di fronte all’organo, è definito “Madonna in gloria tra i SS. Bernardo e Gottardo” (p. 13).

Ora, il dipinto non era del tutto inedito, e in ogni caso basta leggere l’epigrafe ai piedi dei due santi per identificarli come si deve: vi si legge infatti (l’ordine delle parole latine è quello originale, le lettere minuscole esplicano le abbreviazioni)

AD LAVDE(m) GLORIOSE
VIRGINIS MARIE SA(n)CTO-
RV(m)Q(ue) BERNARDI ET MAR-
TINI · SOCIETAS DISCIPLINA-
TOR(um) EREXIT
DIE X NOVE(m)BRIS

M D · L X X X V IIII ·

(A lode della gloriosa Vergine Maria e dei santi Bernardo e Martino, la Società dei Disciplini eresse il 10 novembre 1589).

Ci perdonerà l’irriverenza, dunque, il pur meritevole san Gottardo, ma sono i santi Bernardo e Martino quelli raffigurati nel quadro accanto alla Madonna; ai quali appunto era intitolata la Disciplina di Quinzano nel secolo XVI, come già abbiamo rilevato altrove (L’Araldo n. 29, marzo 1996).

La pala della Disciplina

s faustino disciplina 91In realtà, refusi a parte, il dipinto interessa qui perché dà il destro per riprendere l’argomento, un po’ complesso, aperto nell’articolo del mese scorso. Il fedele lettore ricorderà che, con l’aiuto della invero scarsa documentazione di cui per ora disponiamo, abbiamo tentato di ricostruire un parziale catalogo delle opere di Camillo Pellegrino, modesto dilettante di pittura, oriundo di Cigole e attivo a Quinzano nei decenni finali del ‘500.

Il quadro dei santi Bernardo e Martino mi sembra avere numerosi particolari che inviterebbero a considerare una possibile attribuzione al nostro pittore: sul piano dei difetti, l’impostazione grossolana dell’insieme e la scarsa perizia prospettica; quanto ai pregi, la cura minuta, quasi maniacale, nella descrizione dei tessuti; e ancora il taglio morbido dei volti, che richiamano abbastanza da vicino quelli, ad esempio, dell’"Albero di Iesse" (la pala firmata e datata 1588, oggetto della nostra comunicazione di dicembre), al quale è posteriore soltanto di un anno.

Non sarebbe male affidare un’indagi­ne a mano esperta: ne potrebbe sortire un'immagine inedita dell’am­biente artistico quinzanese nel tardo rinascimento, e magari una pubblicazione o una mostra; ma ciò è ben fuori la portata di interessi culturali dei quinzanesi odierni e di chi li guida.

La pala della Disciplina, come dicevamo, non è inedita: se n’era scritto in occasione del restauro (1979); e in seguito si era pure tentata, con argomenti non superficiali, una attribuzione a Luca Mombello (Fusari 1988), accolta dall’inventariazio­ne riprodotta sulla Pieve.

A questo punto l’intrico di informazioni tra le fonti e la scarna bibliografia si fa stimolante: Fusari paragona infatti la tela dei santi Bernardo e Martino alla "Natività di Maria" della Pieve, che le fonti sembrerebbero assegnare a Camillo Pellegrino in collaborazione con il Mombello; mentre il Mombello aveva sicuramente lavorato nel 1587 all’ancona dell’altare della Concezione, cui doveva appartenere l’"Albero di Iesse" descritto nel nostro precedente articolo.

Insomma, è il caso di mettere un po’ d’ordine.

Luca Mombello a Quinzano

Cominciamo con la persona del pittore Luca Mombello, di cui peraltro non è del tutto agevole ricostruire la biografia.

L’Enciclopedia Bresciana di don Fappani (vol. IX, pp. 208-209) lo fa nascere a Orzivecchi tra il 1518 e il 1520, mentre lo dice morto a Quinzano nel 1588 (notizia singolare). Va detto, comunque, che la morte del pittore sarebbe posta oltre il 1588 da un quadro di quella data nella chiesa di Ponte di Brenta, alle porte di Padova, firmato «Luca Moretto» (!) ma attribuito dai critici al nostro Mombello (Storia di Brescia, vol. II, p. 1084).

Il giudizio critico sull’opera complessiva del pittore è piuttosto deludente; ma, come al solito, non vale la pena sbilanciarsi in un campo che non è nostro. Rileviamo, invece, che tra i numerosi dipinti attribuiti al Mombello figurano per Quinzano un "San Giuseppe" del 1570, e una "Natività" del 1588.

La Storia di Brescia per parte sua menzionava in «S. Giuseppe una ‘Natività’ donata alla chiesa nel 1570», ma evidentemente c’è qualche intralcio di soggetti e di luoghi. La "Natività" ha tutta l’aria di essere, per l’appunto, la "Natività di Maria" della Pieve, che una fonte settecentesca ritiene iniziato dal Mombello e completato dal Pellegrino (Storia di Brescia, vol. III, p. 559). La data 1588 fornita dall’Enciclope­dia Bresciana, però, non appartiene al suddetto quadro, non firmato né datato, bensì al cosiddetto "Albero di Iesse", che – argomentavamo il mese scorso – porta la firma di Camillo Pellegrino. A meno di non credere che si sia dato titolo di "Natività" alla raffigurazione di Maria celebrata dai profeti (cosa assai improbabile), il capitolo dovrebbe essere chiuso in questi termini: al Pellegrino appartiene senz’altro la tela dell’"Albero di Iesse", con firma e data (1588); e probabilmente anche il quadro della "Natività di Maria", cui forse lavorò insieme col Mombello.

Più solido il riferimento al "San Giuseppe" donato nel 1570. L’unico quadro espressamente datato nella chiesa quinzanese di San Giuseppe è la pala dell’altare maggiore, che raffigura non una "Natività" (che pure esiste, ma è posteriore di qualche decennio), bensì il "Sogno di san Giuseppe". Alla base del piedistallo marmoreo sul quale è appoggiato il santo dormiente, è dipinto lo stemma della famiglia Planerio (in volgare Pianeri) con l’iscrizione

DEO OPT(imo): MAX(imo): ET
DIVO IOSEPH · PETRVS
ET IOANNES PLANERI
FRATRES Q(uondam) · D(omini) · LVDOVICI
OPVS HOC DICARVNT
M · D · L · X X

(A Dio Ottimo Massimo e a san Giuseppe, Pietro e Giovanni Planeri, figli del defunto don Ludovico  dedicarono quest’opera. 1570).

La tela è dunque un dono votivo dei fratelli Pietro e Giovanni Planerio alla chiesa di San Giuseppe.

Non possiamo non spendere due parole a proposito di Giovanni Planerio, un vecchio quinzanese di tutto rispetto. Si tratta, infatti, del medico Giovanni Planerio Quinziano (1509-1600), che aveva esercitato onorevolmente per anni la sua professione tra Venezia e la corte imperiale di Vienna.

Lo scrittore Giovanni Planerio

Egli, tra varie opere latine di carattere medico, encomiastico ed epistolare, non aveva trascurato di celebrare il suo paese, Quinzano, in un opuscolo dal titolo Brevis Patriæ Descriptio, ac Illustrium Virorum Enumeratio (Breve descrizione della patria ed elenco dei suoi personaggi illustri), stampato a Vienna, da Michael Zimmermann, nel 1556, e poi con integrazioni riedito a Venezia presso Francesco Ziletto nel 1584 (ne avevamo curato la traduzione in una edizione – diciamo così – molto alla buona nel 1991).

Il libretto contiene un entusiastico elogio pieno di ammirazione per i concittadini in qualche modo degni di menzione. Fra teologi e religiosi, professori di università e guerrieri, medici e poeti, sono oltre una trentina i personaggi quinzanesi che si erano conquistati un ruolo di prestigio nella società e nella cultura del tempo (quasi da non credere!)

Il diligente scrittore si era negli ultimi anni (pare proprio nel 1570) ritirato a vita privata, e nella sua casa di Quinzano in contrada Valtrompia continuava a mantenere contatti con la gente e con la cultura del paese, dando lezioni di letteratura classica ai giovani più promettenti e vivaci del suo tempo. Morì novantenne il 25 febbraio del 1600, e di lui resta memoria in una bella iscrizione funeraria latina in marmo nero alla Pieve, a sinistra dell’abside sopra la porta del campanile. C’era anche un ritratto del vecchissimo medico, ma ha preso il volo per merito dei ladri nel 1986.

Dal suo testamento del 14 luglio 1596 (Casanova 1991, p. 55), sappiamo che il Planerio abitava in «una casa con cortile aia e orto di proprietà del testatore, [...] nel paese di Quinzano in contrada di San Giuseppe ovvero di Valtrompia nel borgo di Borgo (Sancti Joseph seu Valtrumpie burgi burgi), che confina a est e a nord con la strada, a ovest con la proprietà Mombelli e a sud con gli eredi del defunto reverendo sacerdote don Andrea Trappa»: una casa dunque sull’angolo interno di vicolo Valtrompia, non lontano dalla chiesa di San Giuseppe che dava nome alla contrada intera. La sua famiglia doveva essere particolarmente devota del santo Falegname, e forse si sentiva quasi patrona del piccolo oratorio in capo alla via, al punto da far dono della pala dell’altare principale.

Il volto di san Giuseppe

s giuseppe sogno 11Il quadro raffigura in primo piano il santo addormentato, con l’angelo che gli annuncia la nascita del figlio di Maria; sullo sfondo due episodi trattati come momenti di vita quotidiana: a destra Maria ed Elisabetta che si prendono cura del neonato Giovanni Battista; a sinistra la fuga in Egitto.

Nell’insieme dell’opera, di non eccezionale qualità artistica, colpisce comunque un dettaglio: l’abilità minutamente realistica con cui è realizzato di scorcio il volto di san Giuseppe, un vecchio dolce e sereno, dalla imponente barba candida, abbandonato sulla sua mano destra al sonno rivelatore. Il paragone con una xilografia del trattato di Planerio Febrium omnium simplicium divisio & Compositio (Divisione e composizione di tutte le febbri semplici) del 1574, rivela – a mio parere – che il volto di san Giuseppe è quello appunto del medico Giovanni Planerio, che nel 1570 aveva passato la sessantina. Non era raro, infatti, in antico che i committenti si facessero ritrarre nei dipinti in atto di devoti, o (con un filo forse di presunzione) nella veste del santo in persona.

La letteratura critica, insomma, pur nella sua estrema laconicità, sembrerebbe concordare nella attribuzione della pala di San Giuseppe al pittore Luca Mombello (Fusari 1987 non fa nomi, ma la ascrive comunque alla scuola del Moretto, da cui il Mombello proveniva).

Non sfugge, a questo proposito, una specie di indizio: la casa di Planerio, secondo il suo testamento, confinava a sera con una non meglio precisata proprietà Mombelli (al plurale, come si usava allora indicare il cognome dei gruppi famigliari). Da qui a sostenere che c’entrasse qualcosa il pittore Luca, bisognerebbe andar cauti. E tuttavia, al dato dell’Enciclopedia Bresciana sulla morte del pittore in Quinzano, aggiungeremo una informazione archivistica: negli anni tra il 1610 e il 1613, in mezzo alle carte del notaio Scipione Gandino (Archivio di Stato di Brescia, Notarile Brescia, filza 4638) compare più volte un ser Bernardo figlio del fu ser Luca de Mombellis, cittadino di Brescia, che ha sposato una di Quinzano e che possiede poca terra in contrada Berette. Una coincidenza davvero curiosa.

L’ancona della Concezione

pieve iesse 66Ma sul Mombello c’è ancora qualcosa da dire. Nelle righe conclusive del nostro precedente articolo abbiamo dovuto sorvolare, per ragioni di spazio, su un documento, che però meritava di essere illustrato con maggior completezza. Adesso rimediamo.

L’atto porta la data del 12 gennaio 1587: è rogato da ser Scipione Gandino, in Brescia presso la porta di Sant’Alessandro, come mostra la presenza del testimone «don Giovanni Battista di Bologni (probabilmente Bolognì, Bolognini) caporale alla porta de Sancto Alessandro». Forse i committenti erano andati a cercare il pittore a casa sua, o in un suo luogo di lavoro in città.

Il contraente quinzanese è «maestro Zoan Piero di Vidali de Quinzano», che agisce in qualità di sindico, cioè rappresentante legale «della honoranda compagnia della Venerabile et gloriosa Virgine Madre Maria capella sive [ossia] scola della Conceptione de Quinzano situata nella Chiesa della gloriosa virgine Maria delle Gratie de Quinzano del convento delli Reverendi Padri del ordine de sancto Francesco». Tanto sproloquio per dire che il Vidali aveva avuto ufficialmente questo incarico (autoritá et libertá) dalla confraternita della Concezione in Santa Maria della Grazie, chiesa del Convento francescano di Quinzano; e ciò doveva risultare dal registro dei verbali della associazione (libro delle ordinationi), alla rispettiva data.

L’accordo col maestro Luca Mombello pictore consiste precisamente «di adorar [dorare, indorare] idest [cioè] mettere ad oro fino tutta la ancona della detta Capella dela conceptione posta sopra Il detto altare dela conceptione ad oro bornito fino insciema con doi altri angiolini posti sopra li doi cantoni dela ditta ancona». Che l’oro bornito fino sia oro fino brunito, penso sia intuitivo; così come è intuitivo che i doi angiolini siano due statue di intaglio che dovevano decorare i lati o il fastigio dell’ancona. Meno intuitivo, ma rivelato da altre fonti, è che il Mombello era noto al suo tempo come «abilissimo intagliatore di cornici» (Enciclopedia Bresciana, vol. IX, p. 208), un artigianato che aveva esercitato da giovane, prima di dedicarsi più miratamente alla pittura.

Il prezzo pattuito per la doratura dell’ancona era di complessive 200 lire planet (così si chiamava la moneta bresciana), da versarsi in tre rate: 100 lire prima di incominciare (per l’acquisto del materiale); altre 50 nel corso dei lavori; le ultime 50, infine, al successivo San Michele (29 settembre). L’ancona però doveva essere completata e messa in opera, «bene fatta et bene lavorata in laudabile forma et à giuditio di ogni valente et pratico pictore», entro l’Ascensione (7 maggio). La distanza tra consegna e saldo si deve probabilmente, per un verso alla necessità di un collaudo del lavoro, ed eventualmente anche all’attesa di una precisa scadenza finanziaria per le entrate della confraternita.

All’atto della sottoscrizione («adí et millesimo soprascritti» significa nel medesimo giorno e anno) maestro Zoan Piero versa al pittore 52 lire planet. Segue il formulario notarile, che prevede l’impegno dei beni rispettivamente della confraternita e del pittore in caso di eventuali inadempienze contrattuali. Chiudono le sottoscrizioni delle parti, dei testi e del notaio.

La scuola della Concezione

La confraternita (schola o scuola aveva questo significato) della Concezione di Quinzano era una associazione di laici, fondata il 17 aprile 1503 dal padre fra Genesio da Gabiano nella chiesa quinzanese di Santa Maria delle Grazie, presso il convento francescano degli Zoccolanti del beato Amedeo portoghese, per questo detti anche Amadeiti. Così si legge in una notizia su un manoscritto oggi depositato presso l’archivio parrocchiale di Quinzano (reg. Conceptione 1503-1689, c. 3r)

Iesus, 1503, adi 17 april

Memoria Como el fu principiata la Conpagnia de la Conceptione al anno et dí soprascitto per el padre frate Zanes da gabian predicator qual si fo inventor primo in questo locho de Santa maria da le gratie de quinzano.

L’organizzazione prevedeva fin dal principio un direttivo di tre sindici (rappresentanti legali), due massari (tesorieri) e uno scriptor (segretario).

Alla compagnia venne attribuito un altare, o probabilmente un'intera cappella della vasta chiesa (era di poco inferiore alla dimensione odierna della parrocchiale di San Faustino, pur essendo ad aula unica). Nel corso dei decenni gli scholares, gli associati, si impegnarono in una intensa attività di arricchimento e decorazione del proprio luogo di culto, commissionando dipinti, sculture, arredi, e contribuendo nel 1585, assieme ai frati e al Comune, alla costruzione di un organo presso la bottega bresciana di Graziadio e Costanzo Antegnati.

In questo fervore artistico si colloca la realizzazione della pala della Concezione, che abbiamo ipotizzato essere il noto "Albero di Iesse" datato 1588 e firmato da Camillo Pellegrino. Nel medesimo contesto i confratelli dovettero provvedere anche alla edificazione della soasa lignea, per la quale al momento non possediamo documentazioni dirette. Di certo era già in via di completamento nel gennaio 1587, visto che ci si accordava col pittore Mombello per la doratura, che è l’operazione finale.

La leggera discordanza delle date non è problematica, potendosi bene immaginare che tanto il quadro (1588) quanto l’ancona (1587) appartenessero a un progetto architettonico complessivo, in cui le misure delle varie componenti erano previste fin dall’inizio, indipendentemente dall’epoca della rispettiva realizzazione.

Non saprei, però, dire quanto la cornice odierna dell’"Albero di Iesse" conservi dell’o­riginaria ancona: certo, se anche in parte fu riutilizzata, subì abbondanti modifiche per consentire la nuova collocazione sull’altare laterale sinistro della Pieve (che ora ospita la tela della "Natività di Maria", un tempo nell’abside). Il paliotto stesso dell’altare (cioè il prospetto marmoreo della base) non è neppure quello originario della Concezione, avendo intarsiato nel medaglione al centro un santo vescovo, probabilmente san'Agostino, con in mano un cuore infiammato.

Già è noto che altri due dipinti presenti oggi alla Pieve, quelli dell’"Annunciazione" e dei "Santi Giacomo della Marca e Diego di Alcalà" provengono dalla chiesa del Convento.  Non è dunque da escludere che pure il paliotto col santo vescovo possa provenire dalla chiesa monastica, così come l’altro altare con la preziosa soasa lignea e la pala di "Sant’Antonio di Padova e l’Angelo custode", pare firmata da Andrea Sirani, che ora si trova sul lato destro della chiesa della Pieve.

Insomma: persino la rivoluzione giacobina bresciana, nella sua frenesia distruttrice, non riuscì a cancellare del tutto le tracce della devozione antica e ombrosa dei nostri umili padri. Se ce la mettiamo tutta, potremo essere proprio noi a riuscirci.

Tommaso Casanova
(L’Araldo Nuovo di Quinzano, a. V n° 38, gennaio 1997, pp. 12-13)

Riferimenti documentari e bibliografici